Un gruppo di bambini
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Le vie d’uscita dei bambini

 

Mentre uscivo sufficientemente perplesso dalla lettura di un articolo su Machina in cui Gabriele Fadini cercava la matrice comune divergente o le posizioni di partenza differenti destinate alla convergenza di scopo nella produzione teorica ricca e sterminata di Franco Berardi (Bifo) e Antonio Negri (cattivo maestro per eccellenza); mentre cioè il dubbio amletico tra diserzione ed esodo costituiva all’interno della mia psiche un’accattivante e bifida pratica irrisolta di sottrazione attiva, partecipata o renitente, sfogliando distrattamente le pagine de il Manifesto mi sono imbattuto in un articolo di Lisa Bentini dedicato al Bologna Children’s Book Fair 2025 caratterizzato dal tempo-spazio tipico dell’infanzia e del gioco. Il titolo: Quella linea invalicabile dell’alleanza fra bambini è stato per me attrattivo e al tempo stesso sottrattivo. Mi ha permesso, con la velocità della luce e con la maestria dell’illusionista, di uscire dall’irrisolto ed enigmatico stare al mondo in modo altro dei grandi, e di farmi tuffare (inutilmente) oltre quella linea invalicabile che i bambini mettono a protezione di sé per ripararsi da tutto e da tutti, dallo stare al mondo convenzionale dei grandi su tutto.

Quale diserzione migliore di quella rivendicata con ingenua consapevolezza dai bambini? Quale esodo più consono di quello dei bimbi in fuga continua dal terribile mondo dei grandi? Un mondo che oggi alterna l’abitudine al peggio con l’assuefazione all’irreversibilità del peggio, che miscela la guerra guerreggiata con la guerra economica, che fa della sopraffazione principio e del disinteresse verso l’altro metodo. Insomma, un mondo talmente ottuso da non avere che occhi e orecchie per sé, un sé che non si basa sulla reciprocità ma sull’esclusività, un sé che vede l’altro con diffidenza se non con inimicizia, tanto che i nuclei ristretti diventano unico patrimonio da difendere e rivendicare, tanto che all’interno di quei nuclei ristretti preservati con fideismo assoluto il frainteso se non lo sconosciuto dominano sovrani. E così l’incomunicabilità che caratterizza il rapporto genitori-figli si fa strutturale, e i mondi paralleli finiscono con il caratterizzare quella famiglia eletta a unità di misura assoluta.

Ma torniamo all’articolo, prima di perdersi in sociologismi di basso rango che non farebbero altro che sommare approssimazione giudicante all’impotenza della non comprensione, intesa come incapacità di ascoltare l’altro tipica degli adulti contemporanei a cui i bimbi, che dovranno farsi grandi, contrappongono l’invisibilità della loro alleanza. Perché se la prima parte è dedicata alla manifestazione di Bologna la parte finale si concentra su un albo: «piccolo ma straordinario», lo definisce la Bentini, che invita tutto e tutti alla cura del pianeta partendo dalle disparità, che i bimbi considerano ingiustizie, che lo caratterizzano. Il piccolo e straordinario albo – che finisce con l’essere il piccolo e straordinario mondo dei bimbi che disertano il mondo dei grandi attraverso un esodo costituente fatto di sguardi innocenti e di sentimenti puri – è uscito dalle mani fatate e dalla creatività smisurata di Giulia Ceccarani, figlia improbabile di Terni, landa desolata che il mirabolante uomo del fare divenuto sindaco vorrebbe Dubai e che invece continua a rimanere conca di miasmi, che nulla hanno di organico, e di ruggiti, che poco hanno di umano, tipici della più selettiva giungla che vive di guerre che non conoscono quartiere.

L’improbabilità di Giulia rispetto al luogo di nascita e crescita sta tutta nella sua debordante sensibilità creativa, che nessuna rispondenza ha con l’ambiente, che si respira senza toccare, di una città in dismissione irreversibile, mentre la sua capacità più alta risiede per intero nella gestione senza governo dell’eccedenza che le è portata in dono dalla propensione, al limite dell’autolesionismo, di sentire ciò che la circonda come sua parte, di vedere l’altro come sé e di considerare sé come parte costituente dell’altro in un gioco continuo in cui la carambola e la sponda della complicità sono elementi essenziali. Dopo aver fatto della gentilezza un superpotere (Il mio superpotere è la gentilezza, Dalia edizioni 2019), dopo aver eletto la lentezza a ragione di vita (Slò la magia della lentezza Dalia Edizioni 2020), e dopo aver declinato la libertà attraverso il limite e la regola (Alla scoperta della libertà Dalia Edizioni 2021), i bambini di Giulia, che mai smettono di costruirsi un mondo proprio rivendicandolo e proponendolo al distratto pianeta degli adulti, in questo quarto libro (E poi c’è la terra Topipittori 2025) decidono di far assurgere la terra a elemento fisico certo con cui impastarsi le mani e su cui spalancare gli occhi con assorbente frenesia. Il qui e ora dei bimbi di Giulia si esprime non più, come nei precedenti libri, tramite il semplice tratto sublime della sua penna, ma a essa si unisce la materia sotto la forma del collage (fili, stoffe, carte) che attraverso la più fervida astrazione restituisce corpo, rimandando con metronomica temporalità alla realtà delle cose o meglio alla necessità irreversibile di trasformare la realtà delle cose.

Dalle barricate di esodo e di diserzione con la pretesa di assaltare il cielo alla linea spartiacque che vuole unire mettendo alla gogna l’asfittico delle disparità rivendicando terra. Da Bifo a Negri passando per Giulia, dall’amletico adulto al risoluto infantile, un unico filo rosso fatto di molteplici sensibilità che ci ricorda testardo e resistente: e poi c’è la terra.

Foto da pxhere.com

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