La sconfitta in casa della Ternana con il Cittadella e le vicissitudini che si stanno susseguendo intorno alla società rossoverde sembra avere interrotto l’idillio tra i tifosi e il vulcanico presidente Bandecchi, diventato anche oggetto di attenzione alla tv nazionale. Mentre il personaggio sembra essersi avviato verso una crisi relazionale con tifoseria e città che ne potrebbero segnare il declino e la popolarità, non si può dimenticare quello che ha rappresentato solo fino a pochi giorni fa, quando anche la trasmissione di La7 Piazzapulita poneva l’attenzione su di lui. Il patron della Ternana, e soprattutto dell’università privata Unicusano, imprenditore dinamico attivo nelle vicende locali e nazionali, è stato coinvolto nel dibattito a causa delle indagini della Guardia di Finanza e della Procura di Roma sulle sue attività che hanno portato al sequestro di 20 milioni di euro (poi dissequestrati).
Le vicende del vulcanico personaggio spaziano nei diversi campi dello sport, della politica e dell’economia. Si va dalle questioni legate all’affare stadio-clinica, alla realizzazione del palazzetto dello sport in città, fino al paventato salvataggio di imprese storiche in difficoltà del comprensorio ternano come Interpan e Treofan e molto altro ancora. Fino ad arrivare alla candidatura a sindaco di Terni. Nel corso del dibattito televisivo a Piazzapulita, i giornalisti presenti hanno rilevato la strumentalizzazione politica del territorio, e l’interlocutore è stato pungolato per la sua ostentata ricchezza (auto, orologi di lusso e pure un elicottero). Alla fine della trasmissione però, non si può dire che Bandecchi sia uscito sconfitto dal confronto.
A Terni prima delle ultime vicende dopo la partita col Cittadella, è successa la stessa cosa. La città si è divisa: chi col presidente che fino a un certo punto ha fatto le fortune della Ternana e prometteva chissà quali miracoli economici, chi critico nei confronti del personaggio e dei suoi modi. Ma quello che è interessante notare è che la sfrontatezza nel rivendicare azioni e comportamenti sopra le righe, così come l’ostentazione di ricchezza e lusso, a moltissime persone non è apparsa sintomo di un declino morale; e quella arroganza esibita che non si perdona ai politici, nel caso dell’imprenditore rampante si è rivelata tollerabile e per certi versi addirittura naturale.
Il messaggio che pare sia passato è che tutto è più o meno lecito, che non vi è più nessuna linea di confine. Appare persino legittimo che un personaggio di successo, già proprietario di una università privata e di una società di calcio, provi a scalare il potere politico cittadino, e non si coglie che il fare leva sui successi calcistici per intavolare una operazione che pretende la realizzazione di un nuovo stadio subordinandola al convenzionamento (cioè al finanziamento con soldi pubblici) di una clinica privata sia qualcosa di inaudito e deprecabile. Anzi, si tende a vedere in tutto ciò una risposta concreta a presunte inefficienze politico-amministrative. Insomma, per molti Bandecchi non sarà simpatico ma non è quel mostro che l’invidia dei suoi detrattori – che, va da sé, sono dei frustrati – vorrebbe far credere.
La preoccupazione per come la grande disponibilità di denaro possa essere utilizzata per piegare una città a interessi particolari, dividere la popolazione, condizionarne e orientarne aspettative e destini, sarebbe invece un tema importante, soprattutto in una regione che ha decisamente svoltato verso un capitalismo affarista, disinvolto e divisivo. Ovviamente, Bandecchi fa il suo gioco. E c’è chi, strumentalmente o perché ci crede, gli si accoda o gli si è accodato e ne sta solo ora prendendo le distanze. E a ben vedere non è tanto questo il punto. Quello che manca in questo panorama è un soggetto collettivo che sappia valutare certi intendimenti, indicare chiaramente a quali interessi reali corrispondono e conseguentemente dica no con una credibilità che gli consenta di organizzare una opposizione a tutto ciò che riscuota consenso e diventi popolare.
Invece oggi il gioco politico si è fatto liquido e selettivo, per pochi eletti, lasciando ai soliti noti la possibilità di riciclarsi all’infinito. Il rifiuto e l’allontanamento dei giovani, delle classi popolari e lavoratrici, favorisce mistificazione, conservazione e riproduzione all’infinito dello stesso schema e delle stesse facce, che si guardano bene dal fare analisi o dal promuovere un vero cambiamento che potrebbe comprometterne il potere. A sinistra si è smarrita la capacità critica, non si percepisce il disagio dovuto al blocco dell’ascensore sociale, alla mancanza di pari opportunità di partenza, alle disuguaglianze crescenti. Travolti dalla deriva della celebrazione del progresso neoliberista e dello sviluppo della tecnica, si è perduto il contatto con la realtà e la capacità di analizzarla. È in questo clima che personaggi come Bandecchi diventano dei simboli positivi e riconosciuti come tali dagli stessi ceti popolari e da quelli marginali, da quel popolo maleducato (poco politically correct) che pensa che una colf in fondo sia una serva, che l’operatore ecologico è uno spazzino o monnezzaro e che un non vedente è nella sostanza un cieco e cosi via.
Non dobbiamo farci illusioni sulle classi dirigenti e sui dibattiti da superattico. E nemmeno sorprenderci che tra i sommersi si trovi più empatia nei confronti di un imprenditore disinvolto che per un dirigente politico, il quale, quando parla di lavoro, precariato, buste paga, sacrifici e rischi, non ha la più pallida idea di cosa stia parlando; e si vede.
L’aver tanto insistito sul politically correct e sui diritti civili (più individuali), piuttosto che su quelli sociali (evidentemente collettivi), alla fine ha solo avuto il merito di allontanare il popolo e rendere quasi simpatici quelli come Bandecchi, che con il popolo ignorante condividono più cose che non i salottieri illuminati di sinistra.
Ne è la prova che anche il declino della popolarità di Bandecchi è legato agli insuccessi sportivi, non certo all’azione di un’opposizione politica che continua a latitare ed esiste solo nell’associazionismo e nel dibattito elitario e selettivo, o nelle pieghe di ciò che rimane di qualche partito diversamente moderato.
Gaber, anni fa, cantava che «c’è solo la strada su cui puoi contare, la strada è l’unica salvezza»; ecco, appunto, la strada, non i salotti dei superattici.
“Il rifiuto e l’allontanamento dei giovani, delle classi popolari e lavoratrici, . . .”
È talmente vero!