Le mani di una persona anziana
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Come stanno gli anziani

 

Come stanno gli anziani? Quali difficoltà affrontano? Conosciamo i loro veri problemi? Perché spessissimo si dice che costituiscano una “risorsa” fondamentale per la società? Quanto sono soli o depressi o in cattive condizioni economiche e quanto, invece, la loro vita è ricca di relazioni e di possibilità? Domande a cui spesso si dà una risposta semplicistica (tanto per cambiare: lo si fa in molti campi, specialmente i più complessi da decifrare), fidandosi del singolo articolo di giornale, quando non del solo titolo, o della notizia vista al volo sullo smartphone; invece, capire come sta, davvero, un’intera generazione di individui è compito non semplice che richiede tempo, approfondimento e, possibilmente, ricerca sul campo. Specialmente se si vuole costruire una base conoscitiva sulla quale agganciare richieste e rivendicazioni di diritti: è quello che ha fatto Il sindacato pensionati della Cgil, lo Spi, della provincia di Terni, che ha messo in piedi, affidandola a chi scrive questo articolo, con il supporto di tutto il sindacato (dalla segreteria al singolo iscritto), una specifica indagine con tanto di questionario e interviste. Senza piaggeria, è così che si dovrebbe fare quando si vuole avere più forza nelle interlocuzioni e nelle “battaglie” per chi si rappresenta: prima si analizzano i problemi, poi se ne chiede una soluzione, basata su una conoscenza solida.

Il report finale lo abbiamo titolato “Reggere” nelle difficoltà: una sintesi del caleidoscopio di informazioni scaturite da un’indagine molto corposa, sia per la quantità di soggetti intervistati, sia per la nutrita batteria di domande poste e di ambiti di vita messi a fuoco: il contesto abitativo, le relazioni sociali, le attività e il tempo libero, la situazione economica, la salute, la sicurezza e il futuro. Gli anziani che hanno compilato il questionario sono stati ben 720, tutti iscritti allo Spi, di età compresa tra 60 e 79 anni, suddivisi per sesso, “sottofascia” d’età e territori (le quattro leghe in cui è articolato il sindacato provinciale), ed estratti a sorte. Nel campione erano così presenti, senza sorprese, numerosi vedovi e vedove, parecchie persone con titoli di studio bassi, moltissimi operai o apprendisti e pochissimi quadri e dirigenti. L’indagine è stata chiusa nel gennaio 2022.

La ricerca

Otto intervistati su dieci vivono in abitazioni di proprietà, il 13 per cento in affitto. Più della metà segnala che l’abitazione in cui vive necessiterebbe di interventi di ristrutturazione o manutenzione, ma il 55 per cento di costoro non sarebbe in grado di sostenerne le spese. Quattro intervistati su dieci (sono parecchi) denunciano la presenza di barriere architettoniche. L’attività motoria è svolta spesso dal 26 per cento del campione e di tanto in tanto dal 40 per cento. Fa la spesa spesso il 61 per cento degli intervistati e le faccende domestiche il 51 per cento. Non frequenta mai i centri sociali e i luoghi di aggregazione il 64 per cento degli intervistati (il 12 per cento non li frequenta, ma vorrebbe farlo). Non va al cinema o a teatro ben il 56 per cento del campione. Leggono spesso (giornali o libri) circa tre anziani su dieci.  Nove intervistati su dieci possono far affidamento su qualcuno in caso di bisogno. Si sente solo sempre o spesso circa il 15 per cento del campione e a volte circa un quarto del totale. Nel complesso, è definibile molto solo un intervistato su 5, con più probabilità tra i vedovi, chi è in cattive condizioni di salute e chi ha difficoltà economiche.

Sei anziani su dieci dichiarano di non usare mai il computer, più di sei su dieci possiedono uno smartphone, quasi quattro su dieci utilizzano spesso o molto spesso whatsapp; assai meno utilizzati i social network. Gli strumenti tecnologici sono più diffusi tra i meno anziani e i più istruiti; molto meno tra chi era operaio.

«Dà una mano» per i nipoti quasi la metà del campione, in pari misura uomini e donne. Forniscono aiuto ad un altro parente quasi tre intervistati su dieci e ad un’altra persona circa il 7 per cento del campione. Quattro intervistati su dieci hanno dato ai figli un aiuto economico nei 12 mesi precedenti l’intervista, segnale di un fenomeno forse addirittura in crescita; lo hanno ricevuto, sempre dai figli, solo il 6 per cento.

Note dolenti, molto: la metà del campione non è soddisfatta della sanità pubblica; un’altra metà è solo mediamente soddisfatta. I più insoddisfatti sono proprio coloro che avrebbero più bisogno, cioè chi ha redditi bassi e peggiori condizioni di salute. Le farmacie riscuotono invece più successo (ed è certamente un tema). Nell’anno precedente l’intervista, ben il 65 per cento degli intervistati ha usufruito di visite e controlli di salute a pagamento con servizi privati perché l’attesa in quelli pubblici era troppo lunga.

Più di un terzo del campione valuta scarsa o insufficiente la propria situazione economica; per il 40 per cento è sufficiente. Il disagio economico è più diffuso tra i molto soli e i più preoccupati, seguiti da chi è in cattive condizioni sanitarie, chi ha giudicato il lockdown difficile da affrontare e chi ha un titolo di studio basso. Stanno un po’ peggio le donne rispetto agli uomini, i più anziani, i separati o divorziati e anche chi risiede in provincia e in periferia; molto peggio i vedovi. Un anziano su cinque arriva a fine mese con difficoltà e due su cinque con qualche difficoltà. La situazione economica è peggiorata, rispetto a cinque anni fa, per sette anziani su dieci, in maniera trasversale e non per specifici gruppi.

Sei intervistati su dieci giudicano discrete le proprie condizioni di salute; le valutano non buone o pessime il 24 per cento; sono buone o ottime per meno del 20 per cento. Non ci sono grandi differenze tra uomini e donne e tra territori. Più di un intervistato su dieci si occupa di una persona non autosufficiente con cui vive. Consuma anche occasionalmente antidepressivi o ansiolitici un intervistato su cinque; lo fanno di più soprattutto coloro che sono soli e hanno un cattivo stato di salute.

Il lockdown è stato facile da affrontare per un intervistato su 10, difficile per il 47 per cento e né facile, né difficile per il 43 per cento. La pandemia ha peggiorato lo stato di benessere emotivo e mentale di più della metà del campione e ha fatto diminuire le relazioni sociali di quasi la metà degli intervistati (soprattutto tra le donne).

Preoccupazioni di vario tipo sono diffuse nel campione. Hanno paura di una possibile ripresa della pandemia (eravamo a cavallo tra il 2021 e il 2022) e del futuro dei familiari più stretti quasi nove anziani su dieci; otto su dieci che possano peggiorare le proprie condizioni di salute o quelle economiche; sei su dieci che, in futuro, si possano avere meno relazioni sociali e che si possa subire un reato. La zona in cui si vive è definita insicura da circa quattro intervistati su dieci.

I tre quarti del campione sono abbastanza o molto d’accordo con l’affermazione «Una coppia omosessuale deve avere gli stessi diritti di una eterosessuale» e un quarto con «È meglio che l’uomo si dedichi più al lavoro e la donna più alla casa»; meno della metà con «Gli immigrati aggravano i problemi legati alla criminalità» e meno di uno su cinque con «L’Italia è degli italiani e non c’è posto per gli immigrati»; la metà con «Le forze dell’ordine dovrebbero usare le maniere forti contro i delinquenti», meno di uno su dieci con «Dovrebbe essere più facile poter possedere armi» e «In politica, sarebbe meglio ci fosse una persona che decide per tutti»; la metà con «Un dirigente di impresa non deve guadagnare molto di più di un dipendente», il 6 per cento con «È giusto privatizzare i servizi pubblici» e il 12 per cento con «È giusto evadere le tasse se i servizi pubblici non funzionano bene»; tre su dieci con «È meglio vivere giorno per giorno che pensare al futuro». Combinando le risposte sui diritti delle coppie omosessuali, sulla parità di genere e sul rapporto con gli stranieri, emerge che sono più progressisti soprattutto coloro che hanno un titolo di studio più alto.

Si informa della politica ben il 60 per cento del campione, dichiara di essere di sinistra o di centrosinistra quasi il 70 per cento e né di destra, né di sinistra il 21 per cento. È più spesso di sinistra chi presenta un indice di progressismo alto, usa molto la tecnologia, è parecchio attivo e in buono stato di salute. Coloro che si definiscono né di destra, né di sinistra sono di più tra chi valuta negativamente le proprie condizioni di vita, ha un reddito peggiore, è più solo, meno attivo, ha uno stato di salute compromesso, usa meno la tecnologia, ha bassi livelli di istruzione ed è più preoccupato. Il 15 per cento non andrebbe a votare e il 14 per cento non saprebbe chi votare. Prevalgono nettamente le preferenze per il Pd o per una lista a sinistra del Pd.

Lo svantaggio femminile emerge con nettezza: le donne sono penalizzate in quasi tutti gli indicatori utilizzati, soprattutto per quanto riguarda il livello di istruzione. Anche chi era operaio, rispetto agli impiegati, ai lavoratori autonomi e ai quadri, ha condizioni di vita peggiori, specialmente dal punto di vista economico. Nell’indagine non appare il fenomeno degli operai che votano a destra. Per quanto riguarda le risorse economiche e la qualità dell’ambiente urbano, chi vive in periferia è svantaggiato rispetto a chi vive in centro o semi-centro, ma non ci sono differenze sostanziali per moltissime altre variabili.

Disagiati, scontenti, soddisfatti, tenaci

Due ci sembrano le dimensioni principali attorno a cui ci sembra ruoti la vita degli anziani: le risorse materiali e quelle sociali. Nelle prime possiamo ricomprendere la situazione economica e quella di salute; nelle seconde le relazioni, le attività e la solitudine. Su questi aspetti si gioca buona parte delle esistenze degli anziani: dalla loro combinazione, cioè, dipende la modalità stessa di vivere la terza età. L’incrocio della posizione di ogni intervistato nelle due dimensioni determina una tipologia di anziani così composta:

– i disagiati: con scarse risorse materiali e scarse risorse sociali;

– gli scontenti: con buone risorse materiali, ma scarse risorse sociali;

– i soddisfatti: con buone risorse materiali e buone risorse sociali;

– i tenaci: con scarse risorse materiali, ma buone risorse sociali.

Abbiamo costruito degli indici e quantificato gli intervistati per ciascun tipo. Con estrema semplificazione, abbiamo considerato come indicatori delle risorse materiali il giudizio sulla situazione economica e quello sullo stato di salute, costruendo un indice di risorse materiali; come indicatori delle risorse sociali, l’indice di solitudine e l’indice di attività, costruendo un indice di risorse sociali. In entrambi i casi, per semplificare ulteriormente, le modalità degli indici prese in considerazione sono due, basso e alto. Chi ha un indice di risorse materiali alto e uno di risorse sociali basso si colloca tra gli scontenti; chi ha un indice risorse materiali basso e uno risorse sociali pure basso si colloca tra i disagiati; e così via.

In totale, i disagiati costituiscono circa un quarto del totale (26 per cento); gli scontenti sono un altro quarto (24 per cento); i tenaci uno su cinque (19 per cento); i soddisfatti tre su dieci (31 per cento). Dunque la quota di anziani in condizioni di disagio, dovuta sia alle condizioni economiche e di salute, sia alle risorse sociali, non è affatto da trascurare; numerosa è anche la proporzione di anziani che invece combinano buone condizioni materiali e basse risorse sociali; significativa è la presenza di individui le cui condizioni economiche e di salute non sono buone, ma le risorse sociali sono invece soddisfacenti; maggioritaria è la quota di anziani che, tutto sommato, sta bene.

“Reggere” nelle difficoltà

Proviamo a tirare le fila. Gli anziani ci hanno restituito un quadro a molte facce della loro esistenza. Ed infatti la tipologia elaborata da ultimo li “divide” in livello di condizioni di vita assai differenti. Anche all’interno degli iscritti allo Spi, perciò, esistono disuguaglianze sociali non di poco conto. Gli anziani intervistati non sono affatto tutti uguali; determinano le loro condizioni di vita fattori tradizionali e materiali come il livello di istruzione (davvero fondamentale nell’influenzare praticamente tutti gli aspetti della vita), quello di reddito (non certo mediamente alto e addirittura in peggioramento per un buon numero di persone) e la salute.

Ma occorre considerare anche i fattori immateriali: le relazioni, cioè quel capitale sociale tanto studiato in sociologia, che aiuta a fluidificare e arricchire la vita con gli altri; e quindi la solitudine, che ha ricadute molto negative nel quotidiano (non sono affatto pochi gli anziani soli, anche se quasi tutti possono contare su qualcuno in caso di bisogno); le attività svolte, cioè uscire, andare al cinema e a teatro, fare volontariato, leggere, fare la spesa, informarsi della politica; l’aiuto agli altri, soprattutto ai nipoti, ma anche al coniuge o all’anzianissimo genitore. E poi la pandemia, fenomeno così immateriale, o meglio invisibile, ma così materiale e visibile nelle sue conseguenze anche per gli intervistati, che in tanti hanno visto peggiorare proprio le relazioni sociali proprio a causa del Covid-19.

Pesano anche altre situazioni: un’abitazione che avrebbe bisogno di ristrutturazione e la presenza di barriere architettoniche; l’uso degli psicofarmaci, non diffusissimo ma che segnala un evidente disagio; le numerose preoccupazioni per la salute, il reddito, il futuro proprio e dei figli. Bisogna poi tenere presente che gli intervistati hanno tutti meno di 80 anni: oltre quell’età è certo che le condizioni di vita siano peggiori rispetto al nostro campione.

In ogni caso, una larghissima maggioranza degli intervistati valuta abbastanza positive le proprie condizioni di vita, laddove quell’abbastanza va considerato strettamente per il suo etimo: a sufficienza, quanto basta. Il vero disagio riguarda un quarto degli intervistati: sono troppi? Certamente non sono pochi e costituiscono l’esito delle disuguaglianze documentate, che corrono sulle linee della professione svolta e del genere, oltre che del titolo di studio e del capitale sociale: gli operai e soprattutto le donne stanno mediamente peggio degli altri. Meno evidenti le disparità territoriali: chi vive in periferia è penalizzato soltanto sul versante delle risorse economiche e della qualità dell’ambiente urbano.

Questo per quanto riguarda l’area del disagio; c’è poi quasi un 40 per cento di intervistati soddisfatti, con buone risorse economiche e sociali. Il restante terzo del campione si divide, semplificando, tra chi non sta benissimo finanziariamente, ma ha una vita sociale che lo soddisfa, quindi è tenace, perché basa la propria qualità della vita sul rapporto con gli altri (figli, parenti, amici, ma anche vicini di casa o ex colleghi di lavoro), e chi ha poche relazioni sociali ed è più solo, ma ha una pensione che gli permette di vivere decentemente (scontento magari, ma con il conto in banca rassicurante). Non va sottovalutato che tra i tenaci e gli scontenti sono presenti situazioni problematiche, che riguardano coloro che hanno pochissime risorse economiche, nel primo caso, e che sono molto soli, nel secondo.

Insomma, in conclusione, si può affermare che non mancano le basi per costruire piattaforme di rivendicazione di diritti e di migliore qualità della vita: basta citare la cura della salute che avviene in maniera scandalosamente troppo frequente per via privata, e quella pubblica genera insoddisfazione proprio su chi ne avrebbe più bisogno. Ma ci sono anche le motivazioni per poter dire che, nelle stragrande maggioranza dei casi, l’anziano ternano tiene e regge, nonostante le avversità della vita.

Foto da pixabay.com

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