Se c’è una cosa peggiore dell’eliminazione di ciò che restava di un incompiuto reddito di cittadinanza è la pubblicità istituzionale con cui il governo rivendica questo passo in nome della lotta all’assistenzialismo parassitario attraverso una formazione professionale continua in grado di garantire lavoro trasversalmente. Non si limitano cioè ad accanirsi contro gli ultimi, ma lo fanno stravolgendo il senso delle cose, ribaltando i fini e apologetizzando i mezzi. Se il blocco navale viene spacciato come la forma più alta e nobile della lotta non contro l’inevitabilità delle migrazioni – che da sempre sono la base del progresso umano – ma contro quei signori del malaffare che rispondono al nome di scafisti e che manovrano corpi indifesi, il taglio delle forme di sostegno economico a chi suo malgrado è costretto a convivere in quel limbo simile al baratro chiamato povertà diventa la forma più alta e nobile non di un accanimento contro i poveri – che da sempre sono la garanzia numerica e sistemica dell’esistenza di un ristretto gruppo di ricchissimi – ma la leva di un loro riscatto; non di un abbandono, ma di un accompagnamento verso la dignità attraverso l’iperuranico mondo del lavoro rappresentato come inclusivo e accogliente. La mistificazione, ovviamente spacciata per capacità di far comprendere il senso delle cose, è tratto saliente della comunicazione contemporanea, che a sua volta è tratto imprescindibile nella distribuzione mediatica di una verità così risibile da offendere contemporaneamente il minimo senso del pudore e del reale. Non importa ciò che si vende, l’importante è saperlo vendere. Non interessa esaminare il lato oscuro delle cose, l’importante è saper far emergere quel minimo di chiarore che, residuale, si staglia sullo sfondo.
Il marketing non solo non ha risparmiato la politica, ma ne è diventato asse portante in un percorso di lungo respiro che ha trovato in Berlusconi non l’ideatore, ma l’interprete più meritevole. È un problema di egemonia culturale subita da parte della sinistra – o di ciò che di essa rimane – da quando la sinistra ha smesso di stare dentro e contro un sistema che da dover essere trasformato è passato a essere il migliore dei mondi possibili. In questo delirio in cui l’affabulazione narrativa si è sostituita al sogno di una cosa, la sinistra ha lentamente smarrito le ragioni del suo stare al mondo. Ha rinunciato alla difesa dei più deboli e al loro riscatto come motore del proprio agire, perdendosi nel ginepraio qualitativo dei diritti con cui ha illusoriamente pensato di sostituire il soddisfacimento del bisogno quantitativo di un’esistenza dignitosa per ognuno. Lo ha fatto nell’intera Europa, lo ha fatto con particolare tenacia e costanza in Italia, dove il segretario del maggior partito parlamentare della sedicente sinistra ha finito con il preferire le pretese del gran manager della Fiat alle rivendicazioni dell’operaio della catena di montaggio di quella fabbrica totemica. Un harakiri che continueremo a pagare a lungo, se – a differenza di quanto fatto dalla destra affabulatoria, che attraverso la tecnica distorcente dell’occhio di bue riesce a mettere sulla ribalta il particolare a sé consono mettendo in secondo piano la complessità che quel particolare contiene – non si riuscirà a costruire un agire pratico in grado di tenere uniti i soggetti da difendere e i mezzi da utilizzare con i soggetti con cui difendere i mezzi da utilizzare.
La partecipazione a sinistra è tutto, non mera opzione, i soggetti da difendere cioè sono gli stessi che devono interpretare le azioni in propria difesa, senza potersi permettere il lusso di attendere una manna che un cielo sempre più terreno non è mai stato in grado di elargire, senza poter stare ad aspettare che i partiti “di riferimento” trovino soluzione al loro caos interno e alla loro dualità concorrenziale. Il reddito non è un’elargizione caritatevole, ma un diritto da acquisire attraverso una lotta in grado di farci uscire dalla sudditanza semantica in cui ci siamo infilati.
Difendere il diritto alla dignità umana, sia essa esplicata attraverso il giusto salario o tramite il sacrosanto reddito incondizionato e singolarizzato (attribuito cioè alla persona e non alla famiglia), passa, all’interno di un sistema capitalistico, per la tappa obbligata della progressività fiscale e amministrativa. Vedere le tasse come il diavolo e la patrimoniale come un tabù innominabile è per una sinistra degna di tal nome un suicidio che non ha nulla di alto e nulla di nobile. Per poter un giorno indirizzare la produzione senza dispotismi centralizzati, bisogna oggi riuscire a imporre una redistribuzione che sia in grado di confliggere con l’asimmetria costitutiva del sistema del capitale; questo non significa immolarsi in una lotta insensata contro le leggi della fisica, ma più umilmente adoperarsi in un movimento di riappropriazione dell’essere umano. Restare umani è la forma più alta di partecipazione possibile, costruire se stessi attraverso gli altri in un atto di reciprocità continuo deve però avere una base materiale in grado di dare corpo all’alta formalità della nostra Costituzione nata sulle ceneri del fascismo.
La base materiale non può che partire dal presupposto che per tutelare gli ultimi anche i penultimi debbano cedere qualcosa, la base materiale non può prescindere dal tenere uniti, in un’unica cornice fatta di policromia, l’avvolgente del divano con l’inospitalità dell’altoforno. La base materiale del mondo che sarà non può che poggiare sul fatto che gli ultimi non lottino per essere primi a danno di altri ultimi. La base materiale e minima di una sinistra al passo con i tempi deve tenere insieme cioè l’inattività volontaria di chi pretende il reddito, il giusto riconoscimento salariale di chi suda sul luogo di lavoro, la tutela universale garantita da una progressività fiscale spinta che da tabù diventi ragione di vita.
Non rendersi conto che nei salotti attuali della sinistra che discetta e che ragiona, troppo spesso su dieci interlocutori nove possano trovare giovamento dall’imposizione della flat tax sarebbe un atto omicida nei confronti di chi non partecipando né a salotti né ad alti ragionamenti si ritroverebbe a pagare in beata compagnia solitaria il prezzo di un’esclusione sistemica fatta di affabulazione, tabù ed egemonia culturale subita e al tempo stesso partecipata attraverso una tacita e conveniente adesione. La complicità può rappresentare il punto più alto come il punto più basso nella vita di un essere umano; tutto dipende da chi si sceglie come complice.