Turisti in città
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Turismo sì, ma con giudizio

 

Il 2023, anno straordinario per il settore del turismo che ha messo in movimento milioni di italiani e migliorato le presenze straniere, può considerarsi una conseguenza delle privazioni dovute alla pandemia. Si può presumere che passati i due anni terribili del covid e del lockdown, le persone abbiano sentito la necessità di recuperare tempo, emozioni e relazioni, di evadere dalla situazione claustrofobica in cui erano state costrette per tanto tempo. Questa necessità ha prodotto uno straordinario impatto sul settore. Le città d’arte, i borghi, le spiagge e la montagna si sono letteralmevente riempiti di turisti, non c’è stato ponte o festività che siano sfuggiti alla regola, almeno fino a giugno, poi si è registrato un calo e un riassestamento. Il fenomeno ha avuto comunque il merito di generare entusiasmo e speranze sia da un punto di vista sociale, con una sorta di riconquista della normatà, sia sotto l’aspetto economico. La ripresa è andata oltre i luoghi d’arte già alle prese con l’overtourism, cioè con una presenza eccessiva e insistita di presenze, che sta facendo riflettere città come Venezia, Firenze, Napoli sulla tenuta del tessuto urbano e sociale di quelle comunità.

Se da una parte ci s’interroga sull’eccesso di turismo, per molti altri lo stesso fenomeno è vissuto semplicemente come un’opportunità, come la soluzione al permanere di crisi industriali e manifatturiere che si ritiene possano essere sostituite proprio con le attività turistiche. Anche nell’Umbria colpita da crisi industriali e manifatturiere e da una recessione strutturale si è tornati a riflettere sul turismo quale possibile soluzione alle crisi produttive e occupazionali, evidentemente causa primaria dello svuotamento e dell’abbandono del territorio. La soluzione del turismo sembra tornare con forza nel dibattito sullo sviluppo della regione, e in particolare sul modello di sviluppo possibile, capace di andare oltre le fantomatiche start up, i poli dell’idrogeno il sopravvalutato Pnrr.

L’Umbria, per deposito di beni artistici, culturali e religiosi, e per una dotazione di territorio in buona parte integro, ha sicuramente le caratteristiche per sviluppare la filiera della Taac (Turismo, arte, ambiente cultura), come peraltro era già stato individuato ai tempi dei motori autonomi dello sviluppo, cioè ere geologiche fa. Si è trattato però di una politica mai perseguita adeguatamente, che ritorna in auge a causa della crisi produttiva locale. Quella del turismo, appare una soluzione intrigante perché si avvale di alcune prerogative immediatamente spendibili come il cash flow (flusso di cassa) e si potrebbe dire anche il cash flash, circolazione rapida di denaro che in tempi di crisi appare come manna dal cielo. Inoltre è bene ricordare che l’industria turistica, sempre più efficiente, può considerarsi la prima economia del mondo, con enormi possibilità di crescita e di sviluppo in molteplici e nuovi ambiti. Insomma: soldi subito e flessibilità d’investimento fanno di questo settore un asset straordinario, cui guardare anche come possibile soluzione ai casi disperati di abbandono del territorio, di declino produttivo e occupazionale. Tanto che da più parti si propende ormai a ritenere possibile la sostituzione della vecchia produzione industriale con il turismo.

Occorre però guardare al fenomeno basandosi su dati di realtà: la propaganda sostenuta da un’informazione benevola tende a sopravvalutare in questa regione le politiche di sviluppo locale, che a ben guardare rimangono minime e marginali senza un reale salto di qualità e perennemente alle prese con crisi industriali e manifatturiere e di conseguenza occupazionali. Si continua, come da consolidate abitudini, a straparlare di tavoli, di progetti, di piani d’investimento e di sviluppo, esattamente come si faceva in passato con altre visioni politiche e altre amministrazioni: in Umbria come nella migliore tradizione italica sembra che tutto sia cambiato, ma in realtà, non è cambiato nulla. A ciò occorre aggiungere che, una volta terminato il rimbalzo post covid che ha illuso gli italiani e gli umbri, si tornerà alla normalità (l’Istat ha già rivisto al ribasso la crescita del pil): cioè a quella crescita dello 0,5-0,8 per cento da cui non ci sposteremo salvo fare le riforme strutturali che l’Europa ci chiede, ma che sappiamo tutti impossibili da fare realmente, perché strettamente legate al consenso e alla rendita consolidata. Il ritorno alla realtà di un paese sostanzialmente più povero e diseguale, amministrato sulla base del consenso e radicalmente polarizzato nella rappresentanza politica, si troverà a fare i conti con la dura realtà già ben evidenziata dalle difficoltà del Governo a definire la legge di bilancio.

Se l’Italia è in difficoltà, in Umbria le cose rischiano di andare pure peggio, e non sarà sufficiente lo straordinario appoggio mediatico su cui possono contare questa Giunta regionale e le amministrazioni di centrodestra, il malcontento tornerà evidente come i problemi irrisolti e quelli che peggioreranno, sia nella produzione di ricchezza che nella tenuta del welfare. Sarà anche per questo bagno di realismo che le soluzioni più facili torneranno a essere popolari, propagandate ed esagerate, presentate come soluzioni taumaturgiche e a portata di mano, come appunto la filiera turismo, arte, ambiente, cultura. Quello che però nei desiderata appare come una soluzione, in realtà è una semplificazione, perché la questione è evidentemente molto più complessa, e l’Umbria forzatamente immaginata bucolica, verde e spirituale, è in realtà una regione in cui la produzione industriale pesa sul pil per il 15-17 per cento, mentre l’incidenza del turismo sul prodotto interno lordo regionale è al 4 per cento.

Considerati i dati reali del tessuto produttivo locale e la caratterizzazione manifatturiera delle produzioni strategiche che concorrono alla ricchezza regionale, si dovrebbe essere quindi più realisti, e più che pensare a una sostituzione delle produzioni e delle attività, ci si dovrebbe impegnare seriamente per le transizioni ecologica e digitale, e per salvaguardare e aggiornare in maniera intelligente la produzione industriale e manifatturiera, accompagnandone la loro trasformazione verso una sostenibilità presa sul serio. Si dovrebbe cioè ragionare su un nuovo modello di sviluppo locale che tenga conto anche della valorizzazione e del riabitare il territorio con un nuovo paradigma capace di pensare la comunità come un’esperienza sostenibile, solidale, e inclusiva. E farlo evitando la trappola delle monoculture turistiche, dell’overtourism, e delle città-disneyland che sono le forme imposte da una visione consumistica e mercantile, che produce turismo mordi e fuggi e gentrificazione, come avviene con il caso degli Air b&b, che stanno desertificando le comunità a vantaggio della massa, della concentrazione umana anonima e predatrice, che stravolge il mercato immobiliare, e colpisce il diritto allo studio e quello a una casa per i residenti meno abbienti. Il turismo, che è fatto di diversi aspetti e modelli, può aiutare l’economia locale ed essere in qualche caso una soluzione, ma non si può pensare che possa incarnare l’alternativa all’industria manifatturiera, né risolvere la crisi dei settori maturi o quella demografica. La nostra regione può favorire l’espansione turistica, ma stando bene attenta a non sacrificare o erodere i depositi storici, artistici e museali e a non stravolgere l’armonia del territorio, la qualità delle sue produzioni e della vita in generale.

La crisi economica strutturale che riduce l’Umbria a una grande area interna deve trovare la forza di uscire dalla propaganda per cimentarsi con i problemi reali, che si aggraveranno con il perdurare delle guerre e dell’inflazione. La via d’uscita possibile per l’Umbria, può essere solo un’economia plurale, molto più intelligente, coraggiosa e selettiva, che sappia recuperare i ritardi e cogliere le opportunità, e una visione e un’azione conseguenti, capaci di riqualificare il sistema produttivo manifatturiero, rendere efficiente e valorizzare la pubblica amministrazione, aumentare l’impegno per ricerca e innovazione, e soprattutto impegnarsi per togliere l’Umbria dal cono d’ombra in cui si è cacciata, in splendido isolamento.

Solo con un progetto visionario, innovativo e coraggioso si può pensare di valorizzare ed estendere il sistema turistico e anche culturale, perché quale che sia il pensiero ispiratore, non sarà un popolo di camerieri e affittacamere il futuro del riscatto dell’Umbria. Un futuro potrà chiamarsi tale solo se pensato su più livelli e attività, e dentro vere transizioni, tenendo sempre conto dell’identità e della coesione sociale, e non solo degli aspetti meglio remunerativi e di un guadagno più facile e immediato.

Per fare tutto questo occorre però pensare altrimenti, fuori da schemi di conservazione e dall’asfissiante opportunismo e conformismo locale. E soprattutto servirebbero intelligenza e responsabilità politica; un ambizioso programma, oggi impensabile per l’Umbria dell’improvvisazione, delle contraddizioni, del sovranismo, delle (non) soluzioni facili, dell’insopportabile propaganda.

Foto da pixnio.com

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