Palazzo Donini, sede della giunta regionale dell'Umbria
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L’insostenibile inadeguatezza della giunta Tesei

 

Il 13 dicembre 2019 Donatella Tesei si era appena insediata alla presidenza dell’Umbria quando durante una conferenza stampa sentenziò che occorreva «invertire la rotta» poiché si dovevano «superare le distorsioni presenti nella nostra regione». L’occasione gliel’aveva data la presentazione del Rapporto dell’Aur (Agenzia Umbria Ricerche) alla quale stava partecipando. Nella scheda di sintesi del Rapporto che l’ufficio stampa di Palazzo Donini diramò quel giorno si leggeva che in Umbria «il futuro è a rischio: popolazione in calo, squilibri demografici, generazionali e territoriali, declino economico, impoverimento della capacità produttiva». La neo presidente scelse di cavalcare l’onda che l’aveva appena portata al vertice della Regione scandendo che era venuto il momento di «scelte che faremo insieme alle imprese, alle Università, ai Centri per la formazione»; un elenco aperto dalle imprese e da cui mancava qualsiasi riferimento al mondo del lavoro: non si trattò di una svista, come vedremo più avanti.

Per il momento rimaniamo al 2019 facendo un passo indietro, precisamente al 28 settembre, giorno in cui la futura presidente lanciata in pista da Matteo Salvini presentò il suo programma all’interno del quale, nel capitolo “sanità”, si leggeva: «Sarà strategico potenziare il tasso di coinvolgimento del privato, che in Umbria è pari a meno di 1/3 di quello della Lombardia». Nel giro di pochi mesi la diffusione del covid si sarebbe fatta carico di dimostrare l’ideologismo astratto e fragile di quell’assunto nonché l’imprescindibilità del sistema pubblico e universalistico di assistenza sanitaria, e anzi la necessità di rilanciarlo: qualcuno ricorda episodi in cui la sanità privata si sia resa protagonista in quei tragici mesi?

Nel caso della volontà di privatizzare la sanità, l’inadeguatezza del governo Tesei ha inciampato sulla realtà delle cose subito dopo l’inizio del suo cammino. Per comprendere più compiutamente la natura del primo esecutivo di destra umbro invece, oggi, a quattro anni dal suo insediamento è possibile unire i puntini per vedere che tipo di immagine scaturisce. Procederemo su due livelli. Il primo è quello dell’analisi delle grandi opere sulle quali il governo regionale ha puntato. Il secondo consiste in una ricerca terminologica.

Le grandi opere

Ci sono tre grandi progetti a cui ha lavorato la giunta Tesei che a prescindere dalla loro realizzazione connotano questo governo che andrà a scadenza il prossimo autunno. Si tratta del Nodo di Perugia, dell’inceneritore previsto dal Piano dei rifiuti, e di una stazione per l’alta velocità ferroviaria da realizzare a Creti, in provincia di Arezzo. Sono tre opere che vedono coinvolti in due casi (Nodo e stazione) altri soggetti, più precisamente Anas e ministero delle Infrastrutture, ma ciò non toglie alcunché all’impegno che la giunta Tesei ha profuso in questi anni per convincere l’opinione pubblica della loro bontà. Il Nodo è una bretella stradale alternativa alla E45 che consentirebbe a chi percorre quell’arteria di bypassare l’area Collestrada-Ponte San Giovanni per poi proseguire verso Terni (o Cesena) o verso Bettolle. L’inceneritore dovrebbe bruciare 130 mila tonnellate di immondizia l’anno per – dicono dalla giunta – «chiudere il ciclo dei rifiuti». La stazione per l’alta velocità ferroviaria infine, sorgerebbe in una località in provincia di Arezzo a 45 minuti di auto dal capoluogo umbro.

Sono importanti, le tre opere, per due motivi. Il primo è perché viste nell’insieme che compongono restituiscono in maniera limpida l’idea sviluppista che sorregge l’operato dell’esecutivo regionale. Il secondo è costituito dall’ammontare delle spese per realizzarle: costerebbero almeno 2,5 miliardi, cioè, per capire le proporzioni, più del 10 per cento di un anno di Prodotto interno lordo dell’Umbria. C’è anche una terza ragione che unita alle altre rende queste opere centrali per capire la natura della giunta Tesei: esse sono inutili e anacroniste.

Ci siamo occupati diverse volte dei tre progetti, per questo rimandiamo agli articoli che li hanno trattati in profondità e che vanno considerati parte integrante di questo scritto. Qui diremo solo che la giustificazione portata dai membri della giunta per la realizzazione del Nodo di Perugia – un tracciato di 22 chilometri, del costo di oltre 2 miliardi, con diverse criticità ambientali e spacciato come la soluzione al traffico che nelle ore di punta assedia l’area di Ponte San Giovanni e rallenta la circolazione lungo il tratto iniziale del raccordo Perugia-Bettolle – è stata smentita in un’audizione presso il Consiglio comunale di Perugia dallo stesso capo dipartimento umbro dell’Anas. La stazione per l’alta velocità Medioetruria (costo complessivo intorno ai 70 milioni) viene dipinta come l’aggancio imprescindibile per gli umbri all’alta velocità ferroviaria, ma realizzandola a Creti, in provincia di Arezzo, disterebbe decine di chilometri dal capoluogo di regione (da cui peraltro già oggi partono treni ad alta velocità) e ha un precedente piuttosto famigerato nella Mediopadana, sorta nell’area intorno a Reggio Emilia, che ha fallito tutti gli obiettivi di traffico passeggeri che erano stati preventivati. La realizzazione dell’inceneritore infine, è stata decisa nonostante da anni in Umbria la produzione di rifiuti non differenziati sia in calo, nonostante nello stesso studio commissionato dalla giunta regionale ci fossero delle alternative valide e meno impattanti e, infine, nonostante per far funzionare l’impianto si dovrebbe finire per importare rifiuti da altre regioni. Come per l’inceneritore, anche per il Nodo di Perugia e per la stazione Medioetruria esistono delle alternative in linea con tempi che richiedono una riconversione ecologica dell’economia e uno sforzo di pensiero al futuro per evitare di comprometterlo (e per questo rimandiamo di nuovo agli articoli già citati). Ma è proprio nell’incapacità di guardare la realtà che si manifesta l’insostenibile inadeguatezza di una giunta incapace di spogliarsi di un’ideologia sviluppista la cui impalcatura peraltro, nell’arco di questi quattro anni, è come se si fosse sgretolata sulle teste degli esponenti del governo, i quali però non paiono minimamente essersene accorti.

Il tempo e le cose che passano invano

Sono stati quattro anni in cui è successo di tutto: un’epidemia mondiale che ha costretto qualsiasi persona dotata di senno a riflettere sull’importanza e sulla necessità di potenziamento della sanità pubblica; è avanzata la piena consapevolezza di star vivendo un’emergenza climatica che figura ormai come minaccia di sopravvivenza della specie umana nei documenti dei maggiori consessi internazionali e dalla quale si traggono conclusioni che invitano a riconversioni energetiche, rivoluzioni verdi, sviluppo sostenibile. Ma sono gli stessi quattro anni in cui la giunta Tesei ha continuato a guardare il mondo come se si fosse negli anni novanta del secolo scorso: con una frenesia infrastrutturale da grandi opere che trascura come l’immaterialità delle reti e la necessità di abbassare i livelli di emissioni inquinanti portino a dover rivedere – e si hanno i mezzi per farlo – modi di produrre, di muoversi, di progettare i luoghi dello spazio comune. C’è un altro elemento che salta all’occhio in questo modo di procedere: per la giunta Tesei è come si il mondo fosse fermo. Nel progettare o nell’aderire entusiasticamente a quelle grandi opere non si tiene conto di come, ad esempio, i volumi di traffico veicolare privato possano diminuire nei prossimi anni, o di come la produzione dei rifiuti potrà subire un ulteriore ridimensionamento. Soprattutto, la giunta, oltre a dare per scontata la progressione aritmetica dell’attuale andamento, con l’adesione a quelle opere mostra di non avere in animo la benché minima idea di come progettare per invertire la rotta. Siamo cioè all’ordinaria amministrazione eretta a totem, alla conservazione dell’esistente come principio regolatore, alla totale scomparsa dell’elaborazione politica e alla contestuale adesione a un realismo cieco che non farebbe altro che consolidare la già difficile realtà attuale.

Le parole usate

Per comprendere meglio l’inadeguatezza di questo governo regionale rimasto immobile di fronte alla portata di trasformazioni epocali, è il caso però di passare al secondo livello: la ricerca terminologica. Lo sconquasso di questi anni ha portato nel 2021 al varo del Pnrr (Piano nazionale di ripresa e resilienza), che fa riferimento al Next Generation EU dell’Unione europea. Il piano si articola in sei capitoli, abbiamo scelto i titoli di tre di questi: “transizione energetica e/o ecologica”, “mobilità sostenibile”, “inclusione e coesione” per valutare quante volte siano comparsi nelle dichiarazioni pubbliche di presidente e assessori regionali. A quelle definizioni abbiamo aggiunto le parole “povertà”, “lavoratori” e “imprese”. Il termine povertà è stato scelto perché si tratta di una piaga che nell’arco degli anni del governo regionale a guida Tesei è passata dal colpire l’8,9 per cento delle famiglie umbre nel 2019 al 10 per cento del 2022. La sola Caritas della Diocesi di Perugia-Città della Pieve segnala che dal 2017 al 2022 c’è stato un aumento del 61 per cento degli utenti presi in carico e che il numero di interventi effettuati è passato dai 45.793 del 2020, ai 76.232 del 2022. I termini “lavoratori” e “imprese” sono stati scelti perché entrambi si riconnettono alla produzione di beni e servizi, ma rimandano a interessi diversi, quando non divergenti: un titolare d’impresa ha l’interesse a mantenere i salari più bassi possibile, un lavoratore o una lavoratrice hanno l’interesse opposto, cioè che la loro opera venga retribuita il più possibile.

Misurare quante volte in quattro anni si sono utilizzati certi termini è indice di cosa ci sia nel cuore di un politico al di là delle dichiarazioni di prammatica e del politically correct

Si tratta di una selezione arbitraria, come lo sono tutte le scelte. Ma l’idea di misurare quanto delle nuove tendenze indicate nel Pnrr approvato dall’Ue ci fosse nelle dichiarazioni dei membri dell’esecutivo regionale e da quale prospettiva essi guardano il mondo quando affrontano la questione della produzione ci è parso un lavoro utile per capirne le convinzioni che li sorreggono. È per questo che abbiamo fatto riferimento solo alle parole virgolettate che presidenti e assessori hanno diramato alla stampa dal dicembre 2019 al gennaio 2024. La ricerca è stata condotta sui comunicati emessi dall’Agenzia Umbria notizie, cioè l’ufficio stampa della giunta regionale. La scelta di prendere in considerazione solo e soltanto le dichiarazioni virgolettate risponde a un criterio: l’ufficio stampa della giunta a volte dà notizia di provvedimenti senza accompagnare la nota da alcuna dichiarazione. L’aggiunta della dichiarazione della presidente e/o del singolo membro di giunta sono una scelta, e quindi un atto precipuamente politico: con essa quella o quel politico/a vuol trasmettere l’idea che quel tale argomento su cui sta dichiarando è in qualche modo al centro del suo interesse. La scelta delle dichiarazioni dirette risponde a un altro criterio: quando si dà il via libera all’invio di un virgolettato, le frasi sono ponderate, è come se quel membro di giunta stesse parlando direttamente. E la scelta dei termini è indice di un universo di valori. Misurare quante volte in quattro anni si sono utilizzati certi termini insomma, è indice di cosa ci sia nel cuore di un politico al di là delle dichiarazioni di prammatica e del politically correct: nessuno oggi si direbbe contro la difesa dell’ambiente, ma quante volte e con quali termini quell’argomento è entrato nelle sue dichiarazioni? Ancora: nessuno dichiarerebbe che la povertà di fasce sempre maggiori di popolazione non sia un problema, ma quante volte quella persona ha parlato di povertà?

Le parole in numeri

Fatte queste premesse metodologiche possiamo passare a constatare che nelle migliaia di pagine di comunicati prese in esame, che coprono quattro anni solari, i virgolettati di presidente e assessori contenenti la definizione “transizione ecologica” e “transizione energetica” sono 22 in tutto (una media di quattro l’anno, uno ogni tre mesi); quelli che contengono la definizione “mobilità sostenibile”, in cui abbiamo ricompreso anche le volte in cui “mobilità” si è accompagnata agli aggettivi “lenta”, “dolce”, “alternativa” ed “elettrica” sono 24. La parola “inclusione” compare 66 volte, “coesione” 14. E a proposito di questi due ultimi termini va considerato che oltre a quelle dei membri di giunta sono state prese in considerazione anche le esternazioni di Paola Fioroni, consigliera regionale della Lega nominata presidente dell’Osservatorio regionale sulle disabilità alla quale si devono molte delle dichiarazioni contenenti quei termini. La parola “povertà”, che affligge circa 80 mila persone in Umbria compare nei virgolettati di 15 dichiarazioni, e per capire le dimensioni del fenomeno si può fare riferimento al fatto che se i poveri avessero un partito che li rappresentasse e lo votassero in blocco sarebbero la terza forza in regione. Se si passa ai due termini che fanno riferimento alla produzione di beni e servizi, la parola “lavoratori” è stata pronunciata in 140 dichiarazioni, mentre “imprese” compare nei virgolettati 404 volte, cioè cento volte l’anno, due volte a settimana.

Qualità e quantità

Se si incrocia quella che potremmo definire l’analisi qualitativa dei progetti significativi per questa giunta con l’analisi quantitativa delle parole usate in quattro anni da presidente e assessori emerge il profilo di un esecutivo che ovviamente non dirà mai apertamente che la questione ambientale è secondaria ma che di certo su di essa non pone l’accento, meno che mai considera l’ambiente come leva programmatica per ridisegnare una regione che faccia della sostenibilità un perno per la sua evoluzione. Emerge anche che la povertà, benché non si dica apertamente che non è un problema che interessa, non è propriamente al centro dell’agire, se compare 15 volte in quattro anni nelle dichiarazioni ufficiali di sei persone, tra presidente e assessori. Emerge infine che quando si fa riferimento al sistema economico, la stella polare siano le imprese, termine che è di gran lunga il più pronunciato tra quelli che abbiamo scelto per presidente e assessori.

I dati, infine

Il profilo che si disegna della destra per la prima volta alla guida dell’Umbria è insomma quello di una coalizione che non vede alternative al modello egemone basato sulla centralità delle imprese private e sulla realizzazione di opere che soddisfino la necessità di farle guadagnare piuttosto che le esigenze della maggioranza delle persone (e dell’ambiente). E agisce come se tutto il resto dei problemi – i bassi salari di chi lavora, l’abisso della povertà per decine di migliaia di persone, l’incancrenimento delle condizioni ambientali che derivano proprio dal modello egemone – si possa risolvere semplicemente facendo arricchire le aziende. La fragilità programmatica del governo regionale è testimoniata anche dall’enfasi posta sul turismo: nelle conferenze stampa di fine anno di Tesei dal 2019 al 2023, la presidente ha dimenticato di utilizzare termini come “sostenibilità”, “povertà”, lavoratori” ma ha pronunciato la parola “turismo” per cinque volte. Sul turismo, una voce che vale il 4 per cento del Pil regionale, questa giunta ha sestuplicato le risorse investite tra il 2019 e il 2021. E i risultati, nonostante tanta enfasi, sono piuttosto ordinari.

Che tutto questo sia il frutto di un ideologismo datato e astratto lo confermano, oltre alle tendenze continentali e internazionali, anche i dati. Nel corso di quella conferenza stampa del 2019 in cui si presentava il Rapporto dell’Aur che lanciava l’allarme per «il futuro a rischio» dell’Umbria, una regione con «popolazione in calo, squilibri demografici, generazionali e territoriali, declino economico, impoverimento della capacità produttiva», Tesei statuì che avrebbe invertito la rotta di concerto con «imprese, Università e Centri per la formazione». Dopo quattro anni di governo, l’Istat dice che tra il 2019 e il 2022 il Pil italiano è cresciuto in media dell’8,4 per cento, quello umbro solo del 5,4, i residenti sono calati di 17 mila unità, il 44 per cento dei laureati impiegati svolge mansioni inferiori alle proprie competenze, gli investimenti in ricerca e sviluppo delle imprese private della regione pesano per lo 0,6 pere cento a livello nazionale (il “peso” dell’Umbria è dell’1,5 per cento) e le famiglie che dichiarano di faticare ad arrivare alla fine del mese sono aumentate dall’11,5 all’11,8 per cento. Infine, l’Aur segnala che le retribuzioni dei lavoratori in questa regione rimangono più basse della media nazionale. Per cui sì, c’è da cambiare rotta, ma occorre stabilire verso quale direzione.

Nella foto, tratta da wikimedia commons, Palazzo Donini, sede della giunta regionale dell’Umbria

3 commenti su “L’insostenibile inadeguatezza della giunta Tesei

  1. Non sono umbro,vlvo al nord,molte volte arrivo a Pg in auto,in treno, recentemente anche con Flixbus (ora soppresso)
    Ma che fatica arrijvare in questa cosi bella regione!
    E tutte le persone che ho conosciuto lo riconoscono.
    Personalmenye ritengo la critica pretestuosa e ibeologica e tipica di una sub cultura
    Si attivi per migliorare la proposta per treni trenk comodi veloci ben collegati anziche’ bocciare tuttoo.

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