Quella di Vittoria Ferdinandi è la candidatura marziana a sindaca di Perugia che serviva. Il fatto che sia scaturita da un centrosinistra in preda a sussulti e spasmi non è rilevante. Ciò che conta semmai è che all’interno di quella coalizione hanno prevalso gli argomenti di chi si è reso conto che la casa, più che bruciare, è stata ormai divorata dalle fiamme. Non era scontato: sono ancora moltissimi quelli che si fanno catturare dalla coazione a reiterare logiche consunte e inservibili già da diversi lustri. Nel frattempo sono emersi i Bandecchi a Terni, i Milei in Argentina, e rischiano di riemergere i Trump negli Stati uniti.
Serviva una candidatura marziana non tanto per vincere, e sul feticcio del vincere torneremo alla fine. Serviva una candidatura marziana in primo luogo per rendere meno indigesta la competizione elettorale a un numero sempre crescente di persone. Se si somma chi non è andato a votare alle ultime elezioni politiche con chi ha depositato nell’urna una scheda bianca o nulla, in Umbria si arriva a 232.969 elettori ed elettrici: sarebbero di gran lunga il primo partito.
Serviva una candidatura marziana per uscire dal labirinto in cui si viene trascinati quando si scambia il proprio ombelico per il centro dell’universo, e si continua così inerzialmente a parlare di destra, sinistra e centro che per la maggior parte delle persone sono diventati solo indicazioni geografiche, essendosi le idealità eclissate a causa della demonizzazione del conflitto fra interessi diversi, ormai sostituito dalle risse da talk show, tanto ricche di decibel quanto povere di significati. Il che, detto per inciso, rende possibile immaginare la potenziale candidatura di alcuni e alcune sia di qua che di là, che è un po’ la nemesi della politica.
Serviva una candidatura marziana perché nel caso in cui dovesse diventare sindaca Ferdinandi dovrebbe riuscire a portare il vento nuovo e all’altezza dei tempi che l’ha accompagnata fino a ora all’interno dei gangli di una amministrazione pubblica in cui spesso si venera la consuetudine, che è acerrima nemica dell’innovazione di cui sono assetate oggi le città e l’intero pianeta. La popolazione invecchia, la povertà si estende come un virus, il precariato azzanna le vite, le famiglie si assottigliano, giovani e anziani vivono un disagio psicologico e un ricorso a psicofarmaci senza precedenti; eppure l’assetto del welfare rimane quello di cinquanta-sessant’anni fa, fermo cioè più o meno a una sorta di Neolitico. È ormai chiaro che ritmi e modi di produzione, fonti e consumi energetici, modelli di mobilità imperniati sul mezzo privato mettono a rischio la sopravvivenza della specie umana sul pianeta; ma questi temi non riescono a entrare non tanto nell’agenda politica, ma neanche nel discorso pubblico.
Il processo di desertificazione agevolato da una politica ridotta a gioco di ruolo e da burocrazie che per definizione sono impermeabili a ciò che gli accade intorno porta allo straripare dei poteri economici, rimasti gli unici veri player, per dirla con un termine a essi caro, tanto a livello locale quanto globale.
Non sappiamo se Vittoria Ferdinandi sarà in grado di deviare la rotta verso l’iceberg che molti continuano a non vedere. Sappiamo che in vita sua non ha partecipato finora a giochi di ruolo politici ma è animata da una passione politica che l’ha portata, insieme ad altri, a costruire un esempio di inclusione che fa i conti tutti i giorni col mercato: un ristorante in cui si misurano col lavoro persone con particolari fragilità e in cui tornano i bilanci economici ma pure quello sociale. Intuiamo quindi che si tratta di una persona che non solo contempla l’esistenza delle fragilità – che sono condizione esistenziale di tutte e tutti, anche se preferiamo esorcizzarle perché il mondo ci vuole vincenti – ma le ha messe al centro del suo agire e lavora per suturare le ferite che producono.
Sì, stiamo parlando di una persona e del suo curriculum personale. La politica riguarda invece la città, cioè i cittadini e le cittadine, tutti e tutte. Si potrebbe obiettare che si tratti della stessa postura a cui ci hanno abituato gli adepti di Berlusconi negli ultimi trent’anni. C’è una differenza che però produce un salto logico: le fortune di Berlusconi erano tutte personali, il culto della personalità era rivolto verso l’uomo che si era fatto da sé e aveva costruito un impero. Qui si parla di una donna che ha realizzato un progetto eminentemente sociale e seminale, lì della costruzione di un impero personale; qui si tratta di una presa in carico innovativa di fragilità, lì della affermazione della solidità.
Tutto questo rende Ferdinandi una marziana in un mondo di normali che lo stanno portando all’autodistruzione, alcuni pure senza accorgersene. L’essere marziana rende la sua candidatura una condizione necessaria ma non sufficiente. E le variabili non sono tutte in suo controllo. Riuscirà a coinvolgere e vincere? Non lo sappiamo; sappiamo però che le candidature a sindaco del centrosinistra alle ultime elezioni di Terni e Perugia, entrambe nell’alveo di un professionismo maschile e rassicurante, non hanno consentito di raggiungere l’obiettivo. E sappiamo anche che vincere, in politica, è il mezzo per fare le cose che si ritiene giusto fare. Il momento in cui si trasforma in fine è quello in cui nascono i mostri.
Molto puntuale ed analisi perfetta.
Non.abito a Perugia e quindi mi.baso su sensazioni. A mio parere l’impresa di Vittoria Ferdinandi non è stata adeguatamente considerata mel dibattito post elettorale
Sarebbe davvrto un peccato che non ci sia un’adeguata mobilitazione per il voto di ballottaggio
Rinascerà Perugia economicamente con qualche zucchina a km0?