Quella andata in scena il pomeriggio di domenica 3 marzo nell’auditorium dell’istituto Capitini di Perugia non è stata solo la presentazione della candidatura di Vittoria Ferdinandi a sindaca della città. È stato un tentativo di cambio di alfabeto per produrre parole e significati nuovi. Ed è stato anche un primo e riuscito passo verso lo smantellamento di una certa liturgia ortodossa che da troppo tempo continua ad accompagnare la politica fino ad averla fatta diventare indigeribile a molte, troppe persone. Le modificazioni di alfabeto e postura di chi ambisce a rappresentare l’elettorato erano necessarie da tempo, imposte da una progressiva fuoriuscita da alcuni canoni novecenteschi che hanno portato all’inaridimento dei partiti tradizionali e al contemporaneo e correlato dispiegarsi delle energie sociali più evolutive in esperienze che, pur essendo squisitamente politiche, hanno viaggiato a mille miglia di distanza dalla politica istituzionale. Questa divaricazione ha conosciuto domenica un primo tentativo di inversione di tendenza.
Le parole e la musica
Le padrone di casa, nel corso dell’evento del Capitini, sono state le parole. Una parola che le rappresentasse, da inviare mediante smartphone ricorrendo a un QR code, è stata chiesta alle persone in sala, e sul maxischermo sono cominciate a comparire «fraternità», «inclusione», «solidarietà». E le parole di una musicista raffinata come Cristina Donà hanno accompagnato l’avvio del pomeriggio: «Io credo nei miracoli che la gente può fare».
Attraverso le parole definiamo le cose, e attraverso i racconti che le mettono una dietro l’altra ci facciamo un’idea di ciò che ci circonda. Nella politica istituzionale però, spessissimo le parole sono utilizzate per convincere, cioè diventano strumento di propaganda. E la propaganda non definisce le cose, piuttosto ce le dipinge come l’incantatore/incantatrice di turno vorrebbe che le vedessimo. Domenica pomeriggio le parole si sono succedute per dispiegare un racconto che si è nutrito di e intrecciato con la musica, che per una volta non è stata utilizzata come orpello, bensì nella sua essenza di arte che disvela e tocca punti altrimenti inarrivabili. Paolo Benvegnù ha aperto alle 16 l’evento scandendo «Frantumare le distanze, superare resistenze/E riconoscersi per creare»: sono le prime parole di “Cerchi nell’acqua”, uno dei suoi brani più alti all’interno di una produzione artistica da vertigini, per livelli toccati. Vittoria Ferdinandi, due ore dopo, l’evento l’ha chiuso rivelando un sogno in cui la madre le ha sussurrato: «Fai come sai, portali al mare a piedi». Cosa è, se non un invito a frantumare distanze pure quello?
Frantumare le distanze
Le distanze da frantumare che hanno innervato apertura e chiusura dell’evento sono quelle tra la necessità di un ideare e di un fare nuovi, all’altezza del qui e ora, e l’inerzia di pratiche vecchie e ancora largamente maggioritarie che non ci si riesce a scrollare di dosso. La distanza da frantumare è quella che ci dovrebbe portare a «progettare città a partire dalle persone impreviste», cioè quelle con fragilità particolari, come ha invitato a fare Linda Di Pietro, manager culturale ed esperta in rigenerazioni urbane, una delle quattro persone intervenute, oltre a Ferdinandi e Benvegnù. La distanza da frantumare è quella che fa coincidere le parole salute e sanità. La sanità è cura, quindi attiene a uno stato. La salute è costruzione di benessere, ed è correlata a una tensione, a un movimento verso. L’ha spiegato bene un altro degli intervenuti, lo psichiatra Marco Grignani. La distanza da frantumare è quella tra una città di provincia, come Perugia si è rincantucciata a essere, e un capoluogo degno di nome che fornisce possibilità e gioie a chi ci vive non costringendo a emigrare, come ha rilevato Simona Marchesi, delle Rsu Perugina, un’altra delle invitate a intervenire. La distanza da frantumare è quella tra la fragilità ontologica dell’umano e il vacuo sentirsi infrangibili che caratterizza i sé-pensanti normali. L’ha spiegato Damiano Tommasi, sindaco di Verona, venuto a sostenere la candidatura di Ferdinandi conferendole quell’autenticità civica che l’ha portato a vincere le elezioni nella sua città. Qui sta l’essenza dell’occuparsi di ciò che comunemente definiamo scarto, che siano le persone fragili o i capannoni vuoti che ammorbano vista e paesaggio, ci educano alla bruttezza e ci definiscono come civiltà dello spreco. Non è una questione morale, è invece, come canta Benvegnù, la necessità di «riconoscersi per creare» e immaginare altro ricorrendo a «idee nuove», come dice Linda Di Pietro.
Il prefisso co
Riconoscersi per creare evoca il fare con. Non è un caso che il prefisso co ricorre in tutti gli interventi. Compartecipazione, evoca Grignani riferendosi alla realizzazione di case della salute che limitino l’ospedalizzazione e producano benessere. Di Pietro invita alla coproduzione per riempire gli spazi dell’abbandono. E di coprogettazione con il terzo settore per lo sviluppo di un welfare municipale all’altezza dei tempi e della società attuali parla Ferdinandi. Fare con significa anche recuperare il contributo di chi oggi è considerato scarto, quegli ultimi per i quali – altre parole evocate non a caso – Clara Sereni ha invitato a una scelta di campo. E l’amore per ciò che è considerato scarto, ultimo, strano, marginale è quello che canta David Bowie in “Rebel rebel” mentre Ferdinandi sale sul palco: «Hai messo tua madre nei casini, non sa più se sei un ragazzo o una ragazza. Non ti preoccupare, i tuoi capelli sono ok, usciamo insieme stasera».
La socializzazione della politica
Se la politica tradizional-istituzionale pare aver fatto di tutto per rinchiudersi in logiche imperscrutabili e tutte sue uscendo dalle vite delle persone lasciandole sole nella precarietà imperante; se la politica tradizional/istituzionale ha sempre più nel corso del tempo usato le parole come strumento di propaganda, domenica pomeriggio all’auditorium dell’istituto Capitini le parole hanno sembrato recuperare un senso, ritrovare un verso. Le parole di Ferdinandi e di chi l’ha preceduta sono state tutte invariabilmente puntate a tentare di innervare la politica dei problemi delle persone, questa è stata l’essenza del cambio d’alfabeto e di smantellamento della liturgia ortodossa. «La politica è verità e carne», dice non a caso la candidata. La politica è possibilità di migliorare le vite, altrimenti si autoreclude nel recinto dell’ordinaria amministrazione. Soprattutto le vite di chi rimane dietro, questa è stata l’autenticità dei contenuti e del modo di porli che hanno avuto come teatro il Capitini. Più che una politicizzazione delle questioni, si direbbe un tentativo di socializzazione della politica. In due ore non sono mai state utilizzate da nessuno e da nessuna le parole destra e sinistra, che sono diventate alibi per non determinare i contorni delle cose, per far rimanere la politica su un pianeta tutto suo. Qui, al contrario, si è parlato di carne viva.
Le persone
Il fatto che tantissime e tantissimi abbiano partecipato a un appuntamento che ha tentato di rendere popolari contenuti e modalità finora rimasti sotto l’ombra dell’inerzia e del non-c’è-alternativa rincuora, ed è già un successo. Il fatto che ci fossero tantissime donne in sala, spesso costrette dal lavoro di cura a disimpegnarsi dal pubblico, è stato altrettanto incoraggiante. Il fatto che i due applausi più scroscianti siano stati riservati a Mirella Alloisio – la partigiana presente in sala che incarna con la sua stessa presenza i valori della Costituzione generata dall’antifascismo – e alla «sanità pubblica e universale», è una chiara indicazione di un percorso che se Ferdinandi diventerà sindaca potrà forse farci approdare al definitivo cambio di alfabeto, allo smantellamento di posture liturgiche e alla prevalenza della carne viva sulle imperscrutabili autoreferenzialità di un certo mondo. Altrimenti sarà stata comunque una bella avventura che chissà che non getti comunque nel frattempo semi qua e là. L’evento si è chiuso con Lucio Dalla che cantava «Si muove la città/Con le piazze e i giardini e la gente nei bar/Galleggia e se ne va/Anche senza corrente camminerà». Non è solo una canzone, è a suo modo un pezzo di programma elettorale. Perché la musica non è un orpello, è arte dell’essenza, e può aiutare a srotolare un racconto nuovo, con un alfabeto nuovo, con significati nuovi.
Che emozionanti parole! Che bello ritrovare una empatia per qualcuno che parla di società come vorremmo che fosse!
Splendido articolo e splendida Ferdinandi che ahimè non sono riuscita a venire per applaudirla e emozionarmi
Ma spero che ci saranno altre occasioni altrettanto emozionanti
Occupati anche di me per favore.