Donald Trump
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Fight!

 

Pugno chiuso alzato verso la folla, striscia di sangue in volto, e quel fight reiterato, gridato tanto a chi affollava il comizio quanto all’intera nazione federata. A dirla così sembrerebbe trattarsi di un protagonista indiscusso delle tante rivoluzioni che hanno affollato quel secolo talmente breve da risultare infinito chiamato novecento. In realtà stiamo parlando di uno degli uomini più ricchi e discussi del mondo che grazie a una tambureggiante propaganda antisistema è stato e vuole tornare a essere il presidente degli Stati Uniti d’America. Mentre ancora tutti avevano nelle orecchie il sibilo dei proiettili che tracciavano traiettorie, risultate mortali, Donald Trump, coperto in modo sufficientemente maldestro dalle sue guardie del corpo, ne approfittava per far capire al mondo intero come lui, e con lui i suoi sostenitori, mai e poi mai si sarebbe arreso, mai e poi mai avrebbe chinato la testa anche di fronte allo spettro della morte. L’ottuagenario miliardario cioè è riuscito a trasformare, in quei secondi concitati in cui il terrore si è mischiato con l’impotenza, la sua arroganza in eroismo, la sua spavalderia in indomita resistenza e Dio in fedele compagno di viaggio.

Chiaramente i dietrologi di tutto il mondo e i complottisti che da sempre includono nel logico delle loro teorie lo spazio siderale senza limitarsi all’angusto terrestre, e che fanno dell’oscuro tipico della trama la loro cartina tornasole, hanno iniziato a riversare fiumi di parole e oceani di certezze sull’intero globo. Ovviamente ogni dietrologo è figlio della propria dietrologia, e ogni complottista fedele all’ordine costituito della propria forma mentis, tanto che i nessi sono risultati così logici da mettere in campo teorie opposte e significati ultimi contrapposti. Nello spazio che va dalla trovata pubblicitaria auto/organizzata, all’attentato organizzato dal malefico sistema che tutto ordisce e tutto indirizza, si sono in questi giorni intrecciate le peggiori fantasie vestite ora con gli abiti su misura dell’evidenza implicita, ora con l’abbigliamento preconfezionato del confondere esplicito. Fior fior di filosofi si sono fronteggiati nel tempo sulla natura della dietrologia cercando di comprendere la legittimità del processo e di evidenziare le ricadute sul reale. Il dietrologo è vittima di se stesso o emulo del miglior Sherlock Holmes? La dietrologia è zappa sui piedi di chi la applica o radar insostituibile nella ricostruzione dell’invisibilità che governa? Risposte complicate e domande relativamente semplici che è sempre il caso di accantonare, cercando di leggere la tendenza del dispiegarsi del reale attraverso gli strumenti della scienza che va oltre la scienza, direbbe Morin, tramite cioè le categorie aperte dell’interpretazione della complessità.

Senza arrovellarsi sul chi ha armato la mano del ventenne sdraiato sul tetto, sul perché nonostante gli allarmi lanciati nessuno sia intervenuto, sul come, sul quando e chi più ne ha più ne metta, vale la pena analizzare le debolezze delle democrazie contemporanee e il loro armarsi di fronte ai pericoli, reali e agitati, che le autocrazie o chi per loro mettono in campo. Un armarsi che gli Stati Uniti, in particolare i repubblicani, considerano libertà assoluta inerente al diritto di difesa, sorvolando sul fatto che ogni arma, anche quelle comprate con scopi difensivi, offende, come nel caso del giovane attentatore.

Le domande da farsi e le risposte da darsi sostanzialmente sono poche: può la democrazia imporsi sull’autocrazia grazie al “monopolio” delle armi e restare democratica? Sono realmente le autocrazie a costringere le democrazie all’uso sistematico delle armi o è la natura stessa della pretesa egemonia statunitense sul mondo a vedere le armi come mezzo unico che si fa fine ultimo? Al pari del dietrologo è la democrazia vittima di se stessa e i principi su cui si fonda negoziabili, fino al limite estremo dell’abiura più o meno mascherata, di fronte al manifestarsi dei pericoli?

Analizziamo in breve la cara vecchia Europa, il cui sogno costituente stava tutto nella capacità di garantire pace al mondo e antifascismo al suo interno (rifiuto assoluto dell’assolutismo): impotente di fronte alla guerra guerreggiata non più combattuta chissà dove, ma nel cortile di casa; superficiale o meglio succube nell’allargare le sue frontiere, per motivi militari (ovviamente difensivi), a est e i suoi cordoni di appartenenza andando in deroga ai principi di adesione; incapace di uscire dalla “riconoscenza” dovuta agli alleati e di conseguenza di proporsi al mondo come mediatrice preferenziale di interessi contrapposti che di ideologico hanno molto poco e di egemonico tutto. Allunghiamo adesso lo sguardo sul sistema mondo: l’uscita dalla guerra fredda e la non volontà di accettare la fine della deterrenza armata (palesemente inefficace) come principio regolatore di convivenza; il progredire frenetico dell’Asia; il venir meno del rigido schematismo nord-sud; il ruggire silenzioso della Cina attraverso il fiorire di commerci e il controllo (fisico) della logistica mondiale; l’invasività crescente della tecnologia che se non regolamentata rischia di essere distruttrice seriale più che garante di civiltà, tutte novità che rischiano di garantire un’oscurità permanente così come cielo terso a seconda delle azioni intraprese.

Il conflitto tra classi ha caratterizzato il secolo scorso garantendo progresso, le due guerre mondiali hanno al contempo prodotto morte e distruzione lasciando in eredità macerie da ricostruire e militarizzazione a potenzialità crescente come unica garante dell’ordine. Le democrazie hanno da scegliere se seguire la strada del progresso interno figlio della conflittualità o cedere al facile richiamo dell’egemonia armata che in nome della difesa dei propri principi altro non fa che negare i principi stessi. Siamo di fronte al solito bivio che la storia cinica e ciclica tende a proporre, sta a noi umanità eterogenea di un unico mondo decidere cosa fare. Arrenderci al dispositivo armato dello stato di eccezione garantito dall’emergenza continua che porta la democrazia verso l’assolutismo e fa discendere la tenuta della libertà dall’esercizio delle armi o restare umani e lottare contro l’istituzionalizzazione della guerra permanente? Da che proprietà è proprietà è la lotta a fare il mondo, il mondo che riusciremo a costruire cioè dipenderà dal fight che saremo in grado mettere in campo. Nessun retropensiero, cari dietrologi, tutte le carte sono sul tavolo e vanno dal fight trumpiano al question mark democratico, visto il ritiro tardivo del frastornato Biden, il sogno della grande America rimane l’ostacolo più grande da superare per l’affermarsi democratico della democrazia e l’istituirsi compiuto dell’Europa. Prima di combattere il male delle autocrazie, la democrazia deve pensare di difendere se stessa dalle sue ombre che considera paradossalmente fondamenta.

Foto dal profilo Flick di Gage Skidmore

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