Basta fare una ricerca anche su Google per rendersi conto che sono sempre di più le città che usano la definizione di “Città storica” rispetto al consueto “Centro storico”, e questo non può essere un vezzo nominalistico, perché le due definizioni descrivono approcci alla parte storica della città differenti seppur non antitetici: Roma intorno al concetto di “Città storica” ci ha impostato il Piano regolatore generale estendendo «la tutela e la valorizzazione del patrimonio storico all’intero territorio comunale e a ogni periodo storico fino al Moderno e al Contemporaneo». Ma anche comuni di provincia come Pesaro e Pistoia si sono posti il problema di uscire con questa nuova visione dai limiti segnati dai confini delle mura cittadine. Perugia ha un assessore alla “Città storica” e, sempre in Italia, vengono organizzati convegni e incontri nei quali si parla di questo nuovo concetto e di gestione del territorio.
“Città storica” non è quindi una sottigliezza nominalistica ma l’introduzione di un concetto nuovo più aderente all’evoluzione di ciò che nel tempo è stato considerato il patrimonio storico artistico di una città. Un significato che dal dopoguerra in poi è andato progressivamente mutando, per cui dalla volontà di salvaguardare singoli monumenti si è passati, grazie alla spinta di personalità come Antonio Cederna, alla salvaguardia unitaria del luogo dove la maggior parte di questi monumenti sono concentrati. Uno spazio dai confini ben definiti chiamato “Centro storico”, definizione con la quale era inteso il centro di una città circondato dalla periferia. Una specie di stella con quartieri periferici satelliti intorno che per quanto riguarda Perugia invece di allargarsi com’è nella natura della storia si è paradossalmente rimpicciolita nella percezione degli abitanti fino a ridurre l’idea del centro cittadino a Piazza IV Novembre, Corso Vannucci, piazza Matteotti e poco più.
“Città storica”, invece, è un concetto che rispetto al luogo dà priorità alla storia e alla memoria e prende atto del fatto che a Perugia, come in tutte le città, la storia densa e compatta scritta nella città vecchia si è seguitato a scriverla diffusa nel territorio, data da piccoli nuclei abitativi (si pensi a Ripa entro le sue mura), da testimonianze isolate in tratti di campagna e case coloniche sopravvissute in città, da aree archeologiche isolate come alcune tombe etrusche, da tracciati come quelli indicati dai frammenti e dai toponimi dell’Acquedotto che portava acqua alla Fontana di Piazza o dal sentiero delle lavandaie da Pretola a Perugia, dal Cimitero monumentale, la chiesa templare di san Bevignate. E, naturalmente, quella storia è inscritta nell’edilizia contemporanea di qualità sociale come quella popolare, o artistica come il liberty, o architettonica come la razionalista sulla quale spesso si è abbattuta la furia speculativa con abbattimenti scriteriati, com’è successo contro l’ex policlinico di Monteluce e il tabacchificio di Pier Luigi Nervi in Via Cortonese, mentre tabacchifici simili dello stesso grande ingegnere sono stati considerati un bene storico artistico e sociale, recuperati e trasformati a Bologna in un Tecnopolo, a Firenze in luogo di vita cittadina con sale per incontri, mostre, artigianato, asili, bistrot.
In definitiva “Centro storico” è una definizione troppo centrica, troppo limitante, troppo amministrativa, dai confini troppo rigidi. Mentre le conoscenze acquisite e le riflessioni fatte su com’è stato inteso negli ultimi decenni e sulle politiche di salvaguardia e recupero stanno conducendo – anche se questo comporta sempre resistenze – alla convinzione che memoria e storia sono sempre vive e attive e non possono essere circoscritte dentro il confine fisico della città vecchia con la quale di fatto fino al dopoguerra hanno coinciso. È ovvio che questa continui ad avere un forte ruolo simbolico e di identificazione civica e sia lo spazio denso e stratificato dove si concentrano i valori più rilevanti da salvaguardare, ma è altrettanto ovvio che oramai è acquisita l’idea che si debba valicare il confine delle mura cittadine per far arrivare sguardi, cuore e attenzione a parti di città e territorio oltre quel confine riconoscendogli la qualità storica che hanno.
Passare dal concetto di “Centro storico” a quello di “Città storica” più dinamico e permeabile, i cui confini si insinuano nella parte di città che si può definire contemporanea e viceversa (la contemporaneità la si trova a Perugia anche all’interno delle mura medievali) introduce la memoria storica nell’intero corpo della città, mettendo insieme la città storica entro le mura formatasi sulla struttura e sul modo di vivere medievale, sui notevoli segni etruschi precedenti a essa, sulle addizioni successive addossate alle mura medievali con la quasi totale scomparsa di orti e giardini e la città storica dell’espansione novecentesca a volte pianificata altre volta sorta sulla base di modifiche impreviste date da varianti, cambiamenti a decisioni già prese, abusivismo e relativi condoni.
Allargare lo sguardo ai beni storico-artistici diffusi nel territorio – una delle risorse peculiari dei comuni italiani tra i quali Perugia – rende più armonica la gestione del territorio, apre prospettive nuove e amplia al tempo stesso la dimensione del termine “patrimonio” inglobando in esso quei luoghi sparsi nel territorio comunale che hanno un riconosciuto valore sociale, simbolico, storico, artistico. “Città storica” non è quindi la semplice sostituzione un po’ gattopardesca – soluzione per lasciare tutto come prima – di un termine (centro) con un altro (città) più accattivante ma un significativo cambio di prospettiva che nasce da una visione in grado di associare storia, memoria e progetto che spesso tendono a contrapporsi aiutando a trovare le risposte all’eterna contesa tra conservazione e trasformazione, tra permanere e divenire.