La presidente dell'Umbria Donatella Tesei e Matteo Salvini
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Che cosa ha fatto la Giunta Tesei

 

Bisognerà pur trovare una bussola per orientarsi nel diluvio di manifesti, facce, slogan, incontri, richieste, offerte e propaganda che ci inonderà da qui al prossimo 17 novembre quando, insieme ai cittadini dell’Emilia Romagna, saremo chiamati come umbri all’elezione di presidenza e consiglio regionali. Un modo decente per cercare oltre alla bussola anche il senso della propria cittadinanza potrebbe essere quello di attenersi a dati di fatto. Per farlo si potrebbe partire dalle priorità che Donatella Tesei indicò nella conferenza stampa alla quale parteciparono il 17 ottobre 2019, a dieci giorni dal voto che l’avrebbe eletta presidente, i leader nazionali dei partiti della coalizione di destra che si apprestava a governare l’Umbria per la prima volta. Tesei disse che occorreva sostenere le imprese, uniche generatrici di valore per far ripartire Pil e occupazione di una regione scivolata giù nei principali indicatori economici. I numeri possono annoiare, ma occorre guardarli per capire quali siano state la capacità e la portata del governo regionale degli ultimi cinque anni. E per farlo nella maniera più oggettiva possibile occorre confrontare i dati regionali a quello che nello stesso periodo è successo nel resto del paese. La gran parte dei dati consolidati sono aggiornati al 2022, quando Tesei si trovava a Palazzo Donini da più di due anni, ma indica comunque la tendenza che è continuata dopo.

Una regione che arranca

La presidente uscente prendeva in mano nell’ottobre 2019 una regione in cui l’Istat certificava che l’11,5 per cento dei residenti si trovavano in condizione di povertà; nel 2022 quella percentuale era salita al 12,5 per cento. Nello stesso periodo in Italia, pur essendo l’incidenza di persone povere più alta, la tendenza è stata alla discesa: dal 14,6 al 14 per cento. Eppure nello stesso periodo la disoccupazione in Umbria è scesa di più che nel resto d’Italia. Ma questo, oltre a non scongiurare l’aumento dei poveri, non ha giovato molto neanche al reddito netto a disposizione delle famiglie, che nel periodo 2019-2022 è aumentato in questa regione del 6 per cento mentre la media italiana, che era già più alta, in quello stesso intervallo si è incrementata del 10 per cento, contribuendo così ad allargare la forbice. La stessa cosa è avvenuta con il Prodotto interno lordo pro capite: quello umbro, già più basso della media nazionale, è cresciuto di meno rispetto al resto del paese: +4,5 contro +7,5 per cento. Se si considera il Pil totale invece, la percentuale di crescita di quello umbro è al diciassettesimo posto tra le regioni italiane. Si odono cantare le lodi del turismo, che è aumentato un po’ di più rispetto alla media nazionale, ma quel settore pesa circa il 3 per cento sul Pil complessivo.

Il senso delle cifre appena fornite è che l’Umbria governata da Tesei, pur in un contesto nazionale in miglioramento, non è riuscita a tenere il passo non tanto con le regioni locomotiva del paese, ma neanche con la media italiana. Lo specchio di tutto ciò si rinviene nella dinamica demografica. «L’Umbria è il posto migliore per vivere», statuì Tesei nella conferenza stampa di cui abbiamo detto. Ma nonostante ciò la regione ha perso nel quinquennio 2019-2024 il 2,2 per cento della popolazione, facendo registrare la peggiore performance delle regioni del centro-nord nonché una percentuale anche in questo caso peggiore della media nazionale, che è del -1,4 per cento.

La scelta delle scelte

Dai dati di fatto si può passare a una lettura degli stessi, allora. E se si incrociano i discreti dati della dinamica occupazionale con quelli paralleli, negativi o comunque non all’altezza del resto del paese relativi alla povertà e al reddito disponibile si ricava quello che si potrebbe definire il vizio d’origine del governo Tesei, che è il risultato di un’adesione a una retorica tanto vuota quanto fallace. «Sono le imprese che creano lavoro e ricchezza», sentenziò la futura presidente attorniata da Meloni, Salvini e dal successivamente scomparso Berlusconi. Si tratta di un’affermazione apparentemente di buon senso, che ha incantato e incanta anche molto al di là del centrodestra al governo regionale. Ma che in Umbria perde di significato. Questa è una regione che senza la mano pubblica difficilmente si sarebbe riscattata dall’arretratezza che l’ha caratterizzata in gran parte fino al secondo dopoguerra. Non è un caso che la crisi dell’Umbria sia stata oggetto di due apposite sessioni parlamentari, durate per più giorni, nel 1960 e nel 1966. La parabola di questa regione sarebbe stata analoga a quella di vaste aree del sud se una buona mole di investimenti pubblici gestita da una classe politico-istituzionale locale capace di visione e non corrotta non avesse dato frutti. Non si tratta solo di dati storici; e peraltro la storia è assai più importante e innervata in noi di quanto l’eterno presente nel quale siamo immersi ci possa fare apparire. Oggi il valore aggiunto per ora lavorata in Umbria è inferiore di oltre il 10 per cento rispetto alla media nazionale. Sempre oggi sono costantemente inferiori rispetto alla media italiana le retribuzioni per ora lavorata e i redditi generati dal lavoro dipendente. Ancora: oggi l’investimento in ricerca e sviluppo delle imprese private umbre costituisce lo 0,6 per cento di quello nazionale mentre la regione pesa per l’1,5 per cento in Italia. Al netto di alcune eccellenze, il sistema delle imprese private regionale è insomma fragile, compete su segmenti bassi e a scarsa produttività. E ciò produce salari bassi da cui consegue emigrazione. È nel condannarsi a non vedere la genesi di questi dati che sta il difetto peggiore della destra al governo della regione. E da qui si genera anche una retorica dalla quale il governo regionale che verrà dovrebbe pragmaticamente disfarsi per recuperare un ruolo pubblico di indirizzo e coordinamento generali e alti – cioè da non confondere con un certo tipo di sottogoverno – la cui latitanza espone alle derive di un sistema imprenditoriale storicamente debole. Tutto ciò non è sinonimo di dirigismo, come una retorica imbalsamata e insensata poiché non basata su dati di fatto tende a far credere. Si tratta di acquisire la consapevolezza che che senza incubatori, centri di ricerca, connessioni intra ed extra regionali per puntare all’eccellenza gestite e/o incentivate dal pubblico, l’Umbria lasciata ai privati non ce la fa. Invece è stata esattamente questa la scelta delle scelte operata da una coalizione di governo così avvinghiata a luoghi comuni da smarrire il senso della realtà.

Tre esempi

La mancata aderenza alla realtà, il prescindere da dati di fatto per aderire acriticamente a dei dogmi che ha caratterizzato l’operato della Giunta Tesei, si rinvengono in tre ambiti diversi in cui il tempo trascorso ha contribuito progressivamente a tirare via il velo che maldestramente copriva l’insensatezza di scelte pervicacemente e dogmaticamente perseguite nonostante la loro infondatezza.

1) Il primato dell’impresa, essendo fatto assurgere a principio ordinatore di realtà, è stato fatto esondare anche in un campo come quello della salute, in cui l’obiettivo legittimo del profitto che ispira l’operato degli attori privati in un’economia di mercato va a cozzare in ultima analisi con la stessa vita delle persone. «Sarà strategico – si legge nel programma col quale Tesei vinse le elezioni nel 2019 – potenziare il tasso di coinvolgimento del privato, che in Umbria è pari a meno di un terzo di quello della Lombardia». Di lì a pochi mesi, la pandemia da covid si è incaricata tragicamente di dimostrare quanto le strutture, il personale, la territorialità e le risorse del pubblico siano centrali e quanto sostanzialmente inutile sia il privato nel momento in cui c’è da curare senza fare profitto. Il malessere verso una sanità gestita da un principio del genere peraltro, si può constatare dal numero di comitati spontanei a difesa della sua pubblicità che sono sorti praticamente in ogni comprensorio umbro. Nelle ultime elezioni comunali di Perugia, una lista a tema, “Perugia per la sanità pubblica”, ha raccolto 2.400 voti, a dimostrazione di quanto il tema sia sentito.

2) Un corollario del primato dell’impresa assunta come principio ordinatore è quello del fare. Questo fare è inteso monodimensionalmente come la costruzione di manufatti concreti e tangibili che a prescindere dalla loro effettiva utilità, per il solo fatto di essere perseguiti e/o realizzati testimonierebbero la bontà dell’agire di chi ha fatto, o se non altro di chi ha propugnato il fare. Da qui nasce quella sorta di religione delle grandi opere che in questi cinque anni si è consacrata nella propaganda per il Nodo di Perugia, un’opera il cui costo previsto è lievitato di anno in anno; per la quale il governo di centrodestra nazionale non ha messo a bilancio neanche un euro; che è concepita per fini diversi rispetto a quelli per i quali la si propaganda, e che nonostante queste evidenti distorsioni, carsicamente torna in superficie per folate di dibattiti inutili agitata come una sorta di bandiera identitaria da parte della Giunta regionale. Il Nodo non risolverebbe i problemi di traffico intorno a Perugia, al contrario di quanto viene propagandato. Ma non è più neanche questo il punto, poiché nel suo ultimo rapporto sulla mobilità l’Isfort (Istituto superiore di formazione e ricerca per i trasporti) ha previsto che da qui al 2030 gli spostamenti in Umbria si ridurranno del 3,6 per cento. Un dato del genere però, non sfiora neanche i seguaci della religione delle grandi opere, che continuano a perseguire la realizzazione di un’infrastruttura da centinaia di milioni nonostante al suo eventuale compimento potrebbe risultare già inutile.

3) L’ultimo segnale dell’agire a prescindere dalla realtà della Giunta Tesei arriva dalla gestione dei rifiuti. In seguito a uno studio commissionato a un comitato tecnico-scientifico che aveva predisposto tre scenari per il futuro, l’esecutivo regionale ha optato per quello che prevedeva la realizzazione di un inceneritore che dovrebbe bruciare 130 mila tonnellate l’anno di secco residuo. Al di là del fatto che ci sono esperienze virtuose la cui emulazione potrebbe scongiurare un’evenienza del genere – sono citate nella stessa relazione del comitato – la scelta è stata compiuta sulla base di stime che prevedevano che nel 2022, per fare un esempio, si producessero oltre 451 mila tonnellate di rifiuti in Umbria quando invece ne sono state prodotte solo 442 mila, cioè la quantità che era previsto sarebbe stata raggiunta nel 2029. Insomma: la realizzazione di quell’impianto, che dà luogo a diverse criticità in tema ambientale, risulta già vecchia e sganciata dalla realtà, ancora prima di essere iniziata, con la conseguenza che al momento della sua eventuale costruzione, i rifiuti da bruciare prodotti in Umbria potrebbero già non essere sufficienti a renderlo redditizio.

Le indicazioni

La realtà insomma, o un pezzo consistente di essa, è una zavorra che pesa così tanto sul bilancio della Giunta Tesei da portare a bollare il suo operato come inadeguato, se non dannoso. Se si aggiunge poi che si tratta del primo esecutivo di destra che prendeva il potere dopo 54 anni di governo delle sinistre, sarebbe stato lecito aspettarsi qualcosa di maggiore spessore. Invece non c’è stato uno slancio, un’iniziativa, una realizzazione che faranno ricordare negli anni questo esecutivo, se non, forse, gli attacchi all’autodeterminazione delle donne.

Ma c’è dell’altro. Il primato dell’impresa privata come dogma, l’incapacità a riportare l’Umbria se non altro in linea con le medie di crescita nazionali, l’aumento delle persone povere, la religione delle grandi opere anche quando sono inutili, la gestione dei rifiuti sganciata dal principio di realtà sono i semi della catena di un rosario che non illustra soltanto l’inadeguatezza di un esecutivo. Si tratta infatti di altrettante indicazioni di cambio di una rotta che veleggi finalmente col vento in poppa dell’interesse generale, che non coincide affatto con quello delle imprese private, e di scelte che scaturiscano dall’analisi della realtà invece che dai dogmi. Per trascinare via l’Umbria dalle secche in cui si è venuta a trovare prima a causa di un sistema di potere che è diventato via via sempre più autoreferenziale, e che adesso è del tutto inadeguato, occorrerebbe ritrovare il gusto dell’innovazione sociale e culturale che ha portato questa regione a emergere nel panorama nazionale nonostante le sue ridotte dimensioni. L’abbattimento dei manicomi ha visto in Perugia uno dei suoi centri nevralgici; a Terni nacque quello che è diventato un festival musicale di livello internazionale. Recuperare la bontà dell’essere visionari, contribuire alla ricostituzione di un humus in cui possano germogliare idee all’altezza dei tempi è forse l’unica via che ha l’Umbria per ritrovarsi e non scomparire. Per farlo, occorre liberarsi di parecchie zavorre. O almeno acquisire la consapevolezza di doverlo fare.

 Nella foto tratta dalla pagina facebook di Donatella Tesei, la presidente dell’Umbria con il segretario della Lega, Matteo Salvini

6 commenti su “Che cosa ha fatto la Giunta Tesei

  1. Un ulteriore elemento negativo per la Giunta Tesei è costituito dalla problematica dell’ Alta Velocità e dalla sua soluzione con l’individuazione di Creti, in Toscana, per l’accesso dall’Umbria. Una “follia” che di fatto taglia fuori il capoluogo della Regione e di tutti i centri connessi e connettibili, penalizzando ed emarginando ancora una volta l’Umbria

  2. Condivido totalmente tutto quello che dici nell’articolo… Posso aggiungere sul termovalorizzatore che questa giunta ha confermato ai cementifici di Gubbio e Spoleto di bruciare il CSS (combustibile solido secondario) che viene ricavato dai rifiuti indifferenziati… Per cui se sommiamo i cementifici e il termovalorizzatore il risultato è che salta definitivamente la raccolta differenziata perché servono gigantesche quantità di rifiuti indifferenziati per alimentare sia l’uno che l’altro… Oppure importiamo rifiuti indifferenziati da altre regioni, cioè diventiamo la discarica d’Italia…

  3. Il comitato progetto Fontivegge sta accorgendosi finalmente che dopo i proclami del duo Tesei Melasecche di riportare la connessione ferroviaria di Perugia con il resto d’Italia a Creti come fu un tempo Terontola appare chiaro che il quartiere cadrà sempre più in basso perché se esso nacque e si sviluppò più degli altri grazie alla realizzazione della stazione dei treni è evidente che un numero i treni ad altavelocità debbono percorrere i binari umbri financo a servire i due capoluoghi compresa l’area più popolosa economica della regione che va da Perugia a Terni. In questi 100 km vive il 90% della popolazione umbra, quindi non verrebbe a nessuno l’idea che una Regione intera dovesse andare in Toscana, quando altre realtà hanno chiesto ed ottenuto che alcuni Frecciarossa da Mestre proseguissero per Treviso Conegliano Pordenone e Udine , ma anche da Verona per Rovereto Trento Bolzano , come da Bari per Brindisi Lecce ed ancora da Salerno Paola a Sibari ect..etc. va da sé che questa proposta di Creti è un’offesa ad una Regione intera quando un congruo numero di Frecciarossa facilmente economicamente gestibili porterebbero benessere a tutta una Regione intera.

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