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Pasticcio perugino, gli slogan non aiutano

 

A Perugia è successo che nel primo giorno di movida post blocco ci sono stati assembramenti ed è pure volato qualche cazzotto. Il giorno dopo ho assistito a prese di posizione abbastanza scandalizzate di persone che conosco e stimo. Riducendo all’osso, la posizione è questa: l’amministrazione di destra che governa la città non è stata in grado di controllare una piazza che da decenni si affolla nelle ore serali dei fine settimana. In quella piazza non c’era una pattuglia, e così è successo quello che è successo. Non sono quasi per niente d’accordo con questo approccio, provo a spiegare perché.

Io l’ammetto come difetto. La prima cosa che mi viene in mente d’istinto quando penso alle forze dell’ordine è l’abuso di potere. Lo so che ci sono persone onestissime che svolgono quel lavoro, e so anche che quel lavoro è indispensabile nelle società come la nostra. Però a me le divise fanno l’effetto che a Luigi Pintor faceva il sentire parlare in lingua tedesca a guerra finita. Mi viene subito di guardarmi alle spalle. È un riflesso condizionato, e riconoscerlo è già un passo avanti per farci i conti, penso. Ciò ammesso, ritengo comunque che in una società evoluta il ricorso alle forze dell’ordine sarebbe ridotto al minimo, e anche in una società lontanissima dalla perfezione come la nostra, la riduzione di quelle presenze è comunque un sintomo di capacità di autoregolazione, se non di autogoverno; segno di maturità, di capacità della comunità di fare da sé, senza bisogno di spauracchi armati e in divisa. Invocare le forze dell’ordine, banalizzo, è sintomo di puerilità. Risolvere un problema da sé è segno di responsabilità, del saper farsi carico delle cose. Ma fin qui stiamo nel campo delle questioni di principio. Si può obiettare che la perfezione non è dalla nostra, e che quindi gli spauracchi, a volte, servono. Triste, tristissimo, ma è così.

Ammetto anche che può essere divertente infilzare chi sulla costruzione tanto ben riuscita quanto distorta di un’immagine di Perugia-Gomorra riuscì a vincere le elezioni sei anni fa per la prima volta, e poi a riconfermarsi nonostante i (pochi) problemi di sicurezza in città siano rimasti tutti irrisolti. Però mi colpisce sentir agitare le stesse parole e gli stessi spettri che a parti inverse venivano usati qualche anno fa. Dicevamo che la sicurezza è un problema che solo in parte è del sindaco; dicevamo che la sicurezza è una questione di tessuto sociale, non militare; dicevamo che una città vissuta e partecipata è in grado di sviluppare da sé gli anticorpi per sanare eventuali devianze (parola assai sdrucciolevole). Questi sono i motivi per cui, al netto del riflesso condizionato di cui sopra, io penso che il ricorso alle forze dell’ordine e gli slogan “legge e ordine” urlati un tanto al chilo siano intimamente sballati. E lo penso oggi come lo pensavo anni fa, quando cioè a urlarli era l’allora opposizione cittadina che diventata oggi governo manifesta la sua incapacità. Perché quelle parole d’ordine aiutano a raccattare qualche voto impaurito, ma non possono essere foriere di benessere e qualità della vita. Che sia conseguente e usi il pugno di ferro o che non riesca a fare nulla e lasci tutto com’era (a Perugia è successa questa seconda cosa), chi sbraita di “legge e ordine” non è comunque in grado di risolvere problemi più grandi di sé.

E non è una questione di destra o sinistra, categorie piuttosto lise, soprattutto la seconda: figurarsi, abbiamo avuto in questa terra l’ultimo presidente di provincia di centrosinistra eletto dai cittadini che voleva vendere un’isola del lago Trasimeno! È una questione, per usare una parola grossa, di egemonia, che si costruisce sui significati, non sulla propaganda; sulla presa di coscienza delle persone, non sugli slogan; sul medio-lungo periodo, non sul qui-e-ora. In quella piazza, questa è la cosa che mi colpisce, non sono mancate le forze dell’ordine, ma una consapevolezza di quanto sia pericolosa la pandemia. Questo è il problema. E non lo risolvono le forze dell’ordine, che sono come il farmaco che blocca il sintomo ma lascia intatta la causa. Che stavano facendo gli esercenti mentre vedevano montare il caos a piazza Danti venerdì sera? Cosa hanno fatto le persone che sono rimaste lì invece di dileguarsi per evitare il caos? E che c’entra questa mancanza di consapevolezza col sindaco? Certo, sono problemi grossi, ma farne oggetto di propaganda non serve. Vanni Capoccia ha provato a ragionarci, ad esempio, in questo articolo.

Noi invece possiamo pure consolarci col farmaco che blocca il sintomo, ma la causa, se non la si affronta, rimane lì. E usare slogan la radica, la causa, non aiuta ad affrontarla.

Foto da http://regione.umbria.mediagallery.it/it/

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