Ho messo piede per la prima volta dentro la Perugina in uno dei primissimi anni ’70 per accompagnare, da corrispondente dell’Unità, Luciano Lama, Segretario della CGIL, a fare un’assemblea operaia nella grande mensa della fabbrica, assemblea che fu preceduta da una visita allo stabilimento di San Sisto.
Percorremmo, accompagnati dal direttore dell’azienda, la famosa passerella pensile, mitizzata all’esterno, fiore all’occhiello e vanto di un complesso industriale nuovo e tecnologicamente avanzato. Avevo due zie che lavoravano alla Perugina, sorelle di mia madre che era operaia, per la sua bellezza utilizzata anche come modella, all’Angora Spagnoli. Due fabbriche che erano state ed erano allora i pilastri dell’economia e dell’occupazione di Perugia e del suo hinterland. L’onore di fare quella passerella e l’idea di assistere ad una assemblea di operai/ie aveva suscitato un tanto di emozione nel mio animo. Da sessantottino del PCI avevo preso parte a innumerevoli assemblee studentesche, mai, per ovvi motivi, a quelle di fabbrica. Noi studenti avevamo degli operai un’immagine mitizzata derivata dalla considerazione della classe operaia come classe “generale” e rivoluzionaria. Imperava lo slogan “operai, studenti, uniti nella lotta”.
L’assemblea fu una gran bella esperienza, rimasta nella mia vita. Ho in mente come fosse oggi il ricordo di uno spazio molto grande, illuminato da un’intensa luce del mattino (il sol dell’avvenir), con centinaia di persone assiepate a semicerchio davanti a un grande tavolo dove, con Lama, sedevano i membri del Consiglio di fabbrica. La sala era attigua ad un grande bar, dove i dipendenti potevano recarsi. Le conquiste operaie caratterizzavano quegli anni: i permessi sindacali retribuiti, il diritto di riunione, la mensa, il Cral, l’asilo interno, se non ricordo male. La Perugina era all’avanguardia su tutto. Si vantava di essere stata la prima fabbrica in Italia ad avere eletto il Consiglio dei delegati in sostituzione della vecchia commissione interna.
Questo status di “privilegio” gli valse qualche invidia e incomprensione in una regione caratterizzata, in generale, da un lavoro meno stabile e meno retribuito. Al microfono si succedettero, prima di Lama, molti interventi. Mi pare che, all’epoca, segretario del Consiglio di fabbrica fosse Giuliano Mancinelli. Il discorso più applaudito fu di Italo Vinti, ex partigiano, decano delle lotte proletarie e della Perugina, iscritto e dirigente del PCI. Lo sentivo per la prima volta. Tenne, come poi scoprii era solito fare, un intervento appassionato, trascinante, nel suo modo di parlare fatto di parole sparate come una mitragliatrice.
Giuseppe Mattioli descrive esattamente, nel suo articolo su questo giornale, quello che rappresentava la Perugina di quegli anni giunta all’apice della sua “grandezza” sotto la proprietà della famiglia Buitoni. Lavoro, ricchezza per la città e il territorio umbro, storia, socialità, cultura e altro ancora. Il contesto esterno era quello dell’industrializzazione, della diffusione di un relativo benessere, dell’ottimismo nel futuro, degli ideali, dell’egemonia operaia, delle grandi passioni politiche e dei grandi sogni di trasformare il mondo e della certezza di poterlo fare. Altro che anni di piombo! Era una società migliore, molto migliore, questa è la mia opinione, di quella attuale. Il gruppo dirigente sindacale e politico comunista formatosi nella temperie di quegli anni ha fatto epoca fuori e dentro la fabbrica. Mandarini, Mancinelli, Vinti, Mancini, Balucani, Mattioli, Pampanelli, Grassi e Sgalla (chiedo scusa se non sono in grado di citarli tutti) hanno costituito una generazione di sindacalisti, dirigenti politici, amministratori che hanno arricchito quel tempo e lasciato un segno nella storia perugina a umbra.
Il loro giocattolo si è rotto e questo è il primo degli argomenti di discussione che vorrei introdurre, quando sono venuti a contatto col potere. Per giocattolo intendo dire l’armonia e la conseguente spinta propulsiva collettiva che è andata in frantumi, temporalmente, dopo l’uscita di scena dei Buitoni e l’arrivo di De Benedetti, con relativi interrogativi sulla “linea” da seguire e, politicamente, in corrispondenza dello scontro tra diverse personalità che, in quegli anni, caratterizzò la vita del gruppo dirigente del PCI perugino, con riflessi regionali, storia che andrebbe indagata, anche se nessuno l’ha fatto se non forse Claudio Carnieri, con analisi storico politiche e nomi e cognomi.
La città e la Regione hanno sempre aiutato la Perugina. Tentarono di salvare Buitoni consentendogli la limpida e da tutti condivisa operazione Broletto. Accolsero De Benedetti come un salvatore. Giusto o non giusto? De Benedetti andò in banca e la banca (le sue o banche amiche) gli concessero prestiti al 4% contro il 14 che chiedevano a Buitoni. L’Umbria aiutò molto quel capitano di ventura. Tutte le colpe non furono sue perché Craxi gli impedì di condurre in porto il disegno di un grande gruppo alimentare? L’ ”accondiscendenza” delle istituzioni umbre verso le proprietà, da ultimo con la Nestlè e una politica sindacale “debole”, hanno una qualche parte (al netto della deindustrializzazione, della crisi della grande impresa ecc.) con la triste fine della Perugina di oggi? Secondo me si, ma è un altro argomento che vorrei discutere.