Al termine di cinque mesi di dialogo «con istituzioni, imprese, associazioni e sindacati», Legambiente ha presentato il suo Recovery Plan, vale a dire il documento con le priorità per spendere gli oltre 200 miliardi che toccheranno in dote all’Italia. Nel documento l’associazione ambientalista descrive regione per regione le opere che a suo avviso sono da realizzare e quelle da evitare. Questo è il quadro per l’Umbria, i cui progetti riguardano il dissesto idrogeologico, la gestione delle risorse idriche, la mobilità sostenibile, le aree interne e la valorizzazione del parco dei Sibillini.
Dissesto idrogeologico
Risorse idriche
Mobilità
Aree interne
Parco dei Sibillini
Opere da non realizzare
L’Umbria è tra le regioni italiane che hanno il primato di avere nel 100% dei comuni aree a rischio idrogeologico. Edifici costruiti su aree esondabili, frane e smottamenti, per non parlare del rischio sismico che affligge frequentemente la regione. A questi problemi si aggiungono gli eventi climatici estremi che determinano alluvioni, come accaduto nel recente passato nel tuderte e nell’orvietano. Occorre investire per delocalizzare e mettere in sicurezza le infrastrutture e gli edifici, come per gli edifici più a rischio lungo il Tevere a Perugia e più in generale lungo i corsi d’acqua dell’Umbria, rinaturalizzare e rinverdire gli spazi urbani, diminuendo l’impermeabilizzazione dei suoli, oltre che attrezzare moderni ed efficaci sistemi di protezione civile per gestire gli eventi calamitosi o semplicemente per mantenere l’allerta e l’informazione necessaria per i cittadini.
Il rischio di desertificazione riguarda anche l’Umbria, nonostante sia la regione “verde” anche grazie a un territorio ricco di sorgenti e di risorse idriche. Negli anni però sono state gravemente inficiate dalla crisi climatica, dall’uso indiscriminato e talvolta abusivo delle risorse fluviali, dai prelievi per gli usi commerciali delle acque sorgive (secondo i dati ISTAT l’Umbria registra il dato pro capite più elevato di prelievo di acque minerali) e dalla perdita di qualità ambientale di fiumi e laghi per le attività industriali e agricole. Occorre anzitutto intervenire sulle infrastrutture del servizio idrico, oggi gravemente carenti, sia sugli acquedotti (i più recenti dati ISTAT segnalano perdite totali medie intorno al 55% a livello regionale – con picchi a Gubbio, Spoleto e Terni – contro una media italiana del 42% e un obiettivo di almeno il 37%) che sulla depurazione (con impianti per lo più sotto dimensionati da adeguare). Nel campo della depurazione si utilizzi al massimo l’enorme potenziale dei fanghi per la produzione di biogas e biometano.
Attualmente i dati umbri sono tra i peggiori dell’intero Paese: un tasso elevatissimo di veicoli per abitanti, una elevata dispersione urbana che costringe e alimenta l’uso del mezzo privato a discapito di quello pubblico, un continuo depauperamento delle infrastrutture per il trasporto pubblico locale e non. Per affrontare questa situazione vanno finanziati i PUMS (Piani urbani Mobilità Sostenibile) che diversi Comuni umbri hanno realizzato (Perugia, Foligno, Spoleto, Terni e Narni, Città di Castello) e va strutturata la rete del trasporto ferroviario regionale. Tra le opere necessarie:
Raddoppio tratta ferroviaria Spoleto-Terni. L’infrastruttura consiste nella realizzazione di una nuova linea ferroviaria, che costituisce un collegamento “diretto”, quasi interamente in galleria, tra le sta- zioni di Terni e Spoleto, di circa 22 km di lunghezza. In questo modo verrà realizzato il raddoppio di una delle tratte più frequentate e prioritarie dell’intera direttrice Orte-Falconara e che presenta costanti criticità per i pendolari della zona.
Potenziamento della rete ex Ferrovia Centrale Umbria (FCU). Mentre nella parte nord dell’infrastruttura, che collega Città di Castello (PG) con Ponte San Giovanni, i lavori di ristrutturazione si sono conclusi, la tratta di circa 75 km Terni-Ponte San Giovanni è ancora ferma. Con la realizzazione del potenziamento si creerà la possibilità di sviluppare i servizi metropolitani di Perugia e Terni, dove si concentra gran parte della domanda sistematica di trasporto. Inoltre, va risolta la situazione drammatica per i pendolari della ex FCU perché il servizio, dopo essere stato bruscamente interrotto, non è stato ancora ripristinato interamente, e i treni ripristinati viaggiano a una velocità inferiore ai 50 km/h. Ciò ha prodotto nel 2017 e 2018 un crollo del numero di abbonamenti. Raddoppio ferroviario Foligno-Fabriano. L’intervento consiste in una tratta del raddoppio, già in parte attuato, della intera linea Orte-Falconara, strategica per il collegamento della costa adriatica con la Capitale. La tratta Foligno-Fabriano è prevista prevalentemente in variante di tracciato e in galleria, per una estensione complessiva di 54 km. L’opera fu inserita già nel 2002 nelle “infrastrutture di preminente interesse nazionale” ma continuano a mancare anche le risorse per la progettazione definitiva.
La configurazione regionale dell’Umbria richiede politiche innovative per le aree interne (borghi e piccoli comuni) puntando sull’indipendenza energetica, la diffusione delle rinnovabili, la digitalizzazione, la realizzazione di percorsi cicloturistici e servizi a supporto del turismo slow. Va sostenuta la transizione del modello agricolo, attualmente caratterizzato da colture intensive e monocolturali (tabacchicoltura, noccioleti, etc), verso un modello che utilizzi le rotazioni, attento alle peculiarità del territorio, al risparmio delle risorse idriche e della sostanza organica.
La bellezza di quell’area con la sua fioritura è molto fragile e va salvaguardata, investendo su un piano della mobilità sostenibile e partecipato, che permetta il recupero dei tracciati storici e un accesso dolce ai numerosi turisti. Valorizzerebbe il principale crocevia tra Umbria e Marche, all’interno di un Parco nazionale importante com’è quello dei Monti Sibillini.
Il ‘nodino’ di Perugia. È la variante stradale tra Madonna del Piano e Collestrada a cui si aggiungerebbe un secondo tratto tra Madonna del Piano e l’ospedale e il collegamento tra la E45 e Perugia nord per un totale di 456 milioni di euro. Si tratta di una riproposizione spezzettata del Nodo di Perugia, un’opera proposta e giudicata illogica e dannosa già nei primi anni duemila sulla base dell’analisi dei flussi stradali che sono essenzialmente costituiti da traffico locale e che andrebbe affrontato potenziando e ammodernando il trasporto pubblico locale e gestendo in maniera più assennata l’urbanistica delle aree commerciali che oggi determinano, e purtroppo determineranno, gran parte dei problemi dovuti al traffico di veicoli.