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Il nuovo stadio, la clinica privata e la memoria corta che rischia di seppellire Terni

 

A Terni si sta srotolando una pellicola che ha il sapore della replica di un film di una ventina d’anni fa. Non fu una storia a lieto fine, e la città ne paga ancora il prezzo. Il copione a dire il vero è un classico: c’è il presidente di una squadra di calcio da sempre in grado di accendere entusiasmi forti, genuini e popolari il quale ha interessi in altri settori e utilizza il pallone come costruttore di una immagine positiva per accrescere il suo potere contrattuale nei confronti della politica, cioè della città. Venti e più anni fa c’erano Luigi Agarini (nel ruolo di presidente) e l’affare della realizzazione degli inceneritori di rifiuti, e sappiamo com’è andata. Oggi ci sono Stefano Bandecchi e l’affare della realizzazione di una clinica privata e di un nuovo stadio per ottenere i quali si fa leva sulla pressione di una tifoseria, e quindi di un’opinione pubblica, inebriata dal successo della squadra di Lucarelli.

Scrivere di queste cose non è facile, poiché in questa vicenda si mescolano elementi di varia natura che contribuiscono a renderla di difficile approccio in punta di logica. Solidissimi interessi economici di parte si impastano con proiezioni romantiche sui colori di una squadra; e di qui le fortune di un singolo o di un gruppo industriale vengono fatte coincidere artificiosamente con quelle di un’intera città che verrebbe riscattata grazie alle fortune della sua squadra di calcio. Si tratta di un gioco truccato, dove l’unica sicurezza è che se non ci sarà il via libera alla costruzione della clinica e dello stadio, ci sarà anche il disimpegno dell’uomo della provvidenza; viceversa, in caso del via libera alla realizzazione di stadio e clinica, ci saranno di sicuro profitti per uno, ma nessuno ha la certezza di investimenti che facciano della Ternana una nuova Atalanta, e meno che mai di Terni una città nuova.

Quello che stupisce, è che essendo una replica, per di più con forzature evidenti, gli spettatori si comportano esattamente allo stesso modo di vent’anni fa. La città cioè, sembrerebbe stare nella sua maggioranza col presidente, e come consentì e anzi “tifò” allora per la realizzazione di un inceneritore brucia-rifiuti che ha contribuito all’inquinamento di un’area già satura, parteggia oggi per il via libera alla realizzazione di stadio e clinica, progetti che lo stesso Bandecchi, dopo essersi definito un imprenditore di vaglia, definisce «abbinati». In che cosa consiste l’abbinamento? Nel fatto che i proventi derivanti dall’attività della clinica, che dovrebbe essere convenzionata col sistema sanitario pubblico, cioè essere finanziata con soldi pubblici, aiuterebbero la realizzazione dello stadio e, di qui, le buone sorti della Ternana. Quindi, di fatto, si ammette già in partenza da parte dello stesso interessato che le eventuali fortune della Ternana deriverebbero da soldi pubblici, salvo rivendicare il genio imprenditoriale del singolo. Ma allora, seguendo la logica dell’intervento pubblico, perché non fare della Ternana, da subito, una public company di proprietà della città?

Ora non staremo qui a sottilizzare sul fatto che un’imprenditoria capace non avrebbe bisogno di soldi pubblici per far funzionare una squadra di calcio, come insegnano i profeti del mercato e del profitto che tutto muove. Ci interessa sollevare altre questioni. Eccole.

Terni, e la sanità che più in generale ci si è rivelata nel corso di questa pandemia, hanno bisogno dell’entrata di privati sovvenzionati dal pubblico o di corposi investimenti e indirizzi pubblici che salvaguardino l’universalità del diritto alla salute a prescindere dal profitto privato? Nel remoto caso in cui la Ternana finisse anche in Champions League, quale sarebbe la ricaduta reale sulla città in termini di benessere collettivo, posti di lavoro, sicurezza sociale? Ed eventualmente, si può essere sicuri oggi che le eventuali fortune della Ternana non vengano pagate con un ulteriore impoverimento del territorio nel complesso? La vicenda degli inceneritori ci dice che quest’ultimo è stato lo scenario che si è verificato vent’anni fa. Cioè: quella è stata la realtà. Occorrerà tenerne minimamente conto.

E poi c’è un ultimo punto: Terni vive una crisi pluridecennale. Per uscirne occorrono competenze, tenacia e capacità di visione collettiva che sono oggi difficili da rinvenire nelle classi dirigenti cittadina e regionale nel loro complesso; figurarsi se le si può trovare in un uomo della provvidenza. Il quadrato che si sta erigendo intorno a lui fa pensare a una resa: Terni è finita, buttiamoci sulla Ternana.

Foto dal profilo Flickr della Fondazione Santa Lucia

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