In via Birago un nuovo spazio ibrido di rigenerazione urbana e comunitaria come ce ne sono tanti altri nel capoluogo. Tanti, da farne quasi un caso su cui riflettere
Andrea in questo articolo non era previsto. Ci entra per una domanda che gli esce dalla bocca dopo che ci hanno presentati: lui è docente di storia e filosofia nel liceo artistico che sta a poche centinaia di metri dai tavolini all’aperto davanti ai quali siamo seduti. Io, gli dice Filippo, con il quale mi sto intrattenendo da più di un’ora, faccio il giornalista e sto raccogliendo notizie su Popup, il posto ibrido in cui ci troviamo, che da un mese ha tirato su le saracinesche in via Birago, in quella parte di Perugia che dalla sommità comincia a digradare verso la pianura a sud; o che dal piano sale al colle, a seconda dei punti di vista.
Come te lo spieghi questo interesse mediatico nei vostri confronti? È questa la domanda che porta Andrea dentro questo articolo. Lui la rivolge a Filippo, socio di Mente Glocale, l’associazione capofila del progetto che ha portato all’apertura di Popup. Filippo comincia ad abbozzare una risposta: «Ma sai, siamo reduci da più di un anno di pandemia, chiusi in casa, e le novità a questo punto è fisiologico che attirino». Mi pare un profilo un po’ troppo basso, è per questo che intervengo e provo a dire qual è l’interesse che ha mosso me a venire qui per tentare poi di raccontare questa storia. «Questo è un posto che è più di tutte le cose che mette insieme – dico – non è solo libreria, caffetteria, punto di ritrovo. Impasta il tutto e lo fa lievitare andando oltre la somma dei singoli ingredienti». È un’occasione aperta, Popup, pronta a farsi cogliere da chi lo voglia. Questo lo avevo intuito da prima che venissi qui, e me lo ha appena confermato la chiacchierata con Filippo, Elena, Giorgio e Costanza, alcuni degli uomini e delle donne che hanno aperto lo spazio.
Loro usano la definizione «centro di cultura», che secondo me non rende bene l’idea, e proverò a spiegare perché. Popup mette insieme il capitale sociale accumulato negli anni da Mente Glocale, l’associazione capofila attiva in campo ambientale e trasformativo; Cap 06124, associazione di quartiere; Settepiani, società editoriale; e Defrag, un gruppo informale composto da persone che lavorano in ambito universitario. Il pretesto per unirsi è stato un bando dell’Ater, l’azienda regionale che cura il patrimonio di edifici pubblici, che ha concesso a canone calmierato lo spazio che si affaccia su questo slargo che si apre quasi alla fine di via Birago, dove fino a qualche anno fa c’era uno dei tanti “frutta e verdura” stritolati dalla grande distribuzione. Le poche decine di metri quadrati all’interno sono stati riempiti con una parete di libri illustrati per ragazzi e bambini, poster incorniciati con citazioni da grandi film, un piccolo bancone da bar e un sacco di suppellettili colorate. Fuori campeggiano tavolini, sedie, ombrelloni e uno spiazzo, ideale agorà che sarà sempre più calpestata dai tanti e dalle tante che la verranno a riempire coi corpi e le idee. C’è già un calendario ricco di presentazioni di libri e di iniziative che vanno dalla divulgazione scientifica a quella artistica; dalla sicurezza alimentare alla finanza.
Ma non è solo questo, Popup. Ognuna delle realtà che vi ha contribuito ha una sua inclinazione che mette a sistema con quella delle altre. Defrag cura le divulgazioni, Settepiani si occupa della offerta libraria, Mente Glocale tiene un po’ le fila e Cap 06124 porta qui dentro i rapporti coi residenti e i commercianti di questo quartiere in chiaroscuro. «L’idea – dice Filippo – è di offrire sempre più servizi a chi abita qui. Questo posto ambisce a diventare sede per aiuto compiti e luogo sicuro in cui poter lasciare i figli per qualche ora se se ne ha bisogno; è già diventato il quartier generale del gruppo d’acquisto che vi distribuisce il cibo che arriva dai produttori del circondario». E poi c’è l’idea di censire le professioni di chi ci abita in modo da poter offrire lavoro a chi non ne ha e favorire gli artigiani a chilometro zero. «L’altro giorno – dice ancora Filippo – è venuto un ragazzo che fa il magazziniere ed è rimasto senza lavoro chiedendoci di spargere la voce e di chiamarlo nel caso in cui qualcuno avesse bisogno delle sue competenze».
È un centro di vita, Popup, che va molto al di là della definizione di centro di cultura. Qui si mescolano i libri di saggistica e le verdure dei produttori della cintura intorno a Perugia, le iniziative per bambini e quelle per chi vuol saperne di più del gambero rosso della Louisiana. Qui si organizzano pranzi di quartiere in cui ognuno dei commercianti mette qualcosa e si ha a disposizione l’agorà per presentare idee e produzioni culturali. Qui si farà portierato di quartiere e chissà quante altre cose nasceranno da queste commistioni: nello scorcio di mattinata che trascorrerà, Filippo, gli altri e le altre avranno risposto ad almeno tre-quattro sollecitazioni: da Andrea, appassionato di cinema, che vorrebbe coinvolgere i suoi studenti in iniziative da tenere qui davanti, a chi propone un incontro sul valore della rigenerazione urbana.
Eccola, la locuzione: rigenerazione urbana. Popup nella sua pagina facebook si definisce come progetto di rigenerazione urbana. È il nome che si fa sostanza. Un’apertura improvvisa in un interstizio ordinario di città, proprio come i popup che si elevano al voltare della pagina per la sorpresa gioiosa dei bambini che stanno sfogliando; è la metafora illuminante balenata a Costanza per la scelta del nome di questa ibridazione. Ma c’era bisogno di rigenerazione urbana in questo quartiere tutto sommato tranquillo?, in cui le facciate scrostate degli edifici si alternano a quelle ridipinte da poco?, dove i terrazzini sono attrezzati con sedie a sdraio, tavolini e addirittura divani, a testimoniare la placidità di un posto in cui però spacciatori e assuntori di sostanze bazzicano ancora? C’era da rigenerare una zona in cui le orecchie sono poste al riparo del traffico più molesto e vi riescono ad arrivare canti d’uccello, grida di bambini e conversazioni tra vicini? La risposta la danno la sequenza di cartelli “affittasi” e “vendesi” che penzolano fuori dagli ex negozi. E non solo. La risposta sta nel modo in cui Popup è stato accolto, nel suo essere già diventato un punto di riferimento nel suo primo mese di vita germogliato peraltro nello strascico di pandemia.
Di rigenerazione urbana c’è sempre bisogno nelle città disumanizzate e pensate a misura di automobili, grande distribuzione e speculazione immobiliare; c’è sempre bisogno per tentare che i tanti e le tante impegnate nel corpo a corpo quotidiano col precariato si diano reciprocamente sollievo. La rigenerazione urbana non è solo roba per Scampia, la rigenerazione serve a tutti e tutte, oggi. È anche per questo che io sto qua. E non solo.
Popup che si apre dentro alle pagine di Perugia è l’ennesima eruzione di colori in una città di provincia spesso dipinta con tinte che non le rendono giustizia. L’esperienza del Post Modernissimo ha contribuito a rivitalizzare un’area spenta da tempo come quella del crocicchio di vicoli intorno a via della Viola, in pieno centro storico. A poche decine di metri da quel cinema premiato a Venezia e di cui hanno parlato alcune delle più prestigiose riviste europee, ha aperto una libreria indipendente, Mannaggia, che con Popup ha delle affinità elettive che hanno già portato alla collaborazione tra le due realtà. Scavallando corso Vannucci e scendendo a sud est per le scale di Sant’Ercolano s’incrociano prima Edicola 518, un’altra oasi di libertà rigenerante, e poi, più in là, Numero Zero, ristorante dove lavorano soggetti fragili che sono riusciti a darsi un piano di vita autonomo. Non è un caso, sono tanti bisogni d’altro che hanno trovato modo di soddisfarsi.
Qui sta l’interesse del cronista che incuriosisce Andrea, finito nell’attacco di questo articolo. È il tentativo di capire come una città rotolata in mano a un’amministrazione immobile dopo anni di declino riesca a darsi così tante occasioni di respiro che mi ha portato qui. Non rappresentano un fenomeno ordinario, le eruzioni di colori di Popup e dei suoi fratelli, o cugini. Eppure, a fronte di queste eruzioni continue, nel racconto della città prevalgono i toni del grigio. Eppure le eruzioni non diventano corrente ma restano oasi. Qui stanno le curiosità del cronista. Perché tanta bellezza in una città di provincia? E, l’altra faccia della medaglia, perché tanta bellezza non riesce a imporsi sulla inanità circostante, a farsi sistema? La ragione del germogliare, risponde Filippo, ma ormai il nostro dialogo a due è diventato una chiacchierata a quattro o cinque, sta nel germogliare stesso: «Un’esperienza che funziona ti fa dire: ce la possiamo fare anche noi. Questa è una città universitaria, nella quale in un modo o nell’altro vengono a stabilirsi e a portare energie nuove tanti e tante. E poi ci conosciamo tutti, noi, quelli del Postmod, di Edicola 518, di Numero Zero e di Mannaggia». Ecco, qui, nell’ultima frase potrebbe esserci invece la ragione del rimanere oasi, per ora. È come se ci fosse una segregazione non deliberata, dei recinti invisibili. Chi ha a cuore la propria rigenerazione, sceglie le tante vie della rigenerazione urbana; ma ancora le città sono appannaggio delle macchine, dei centri commerciali e degli speculatori immobiliari; la corrente è quella. Ma è solo un’ipotesi alla fine di una chiacchierata, che forse si svilupperà in un incontro qui, davanti a Popup. E poi si vedrà: il germogliare aiuta il germogliare.