Quando era procuratore della Repubblica di Terni, Fausto Cardella si espresse così davanti alla commissione d’inchiesta sulle infiltrazioni mafiose istituita presso il Consiglio regionale a proposito del fenomeno del riciclaggio: «Si ha la quasi certezza dell’esistenza del fenomeno, ma non le prove tangibili». Era il giugno 2011, nel frattempo Cardella è diventato procuratore generale in Umbria, e pare passato un secolo. A luglio 2019, nell’ultima relazione al Parlamento sui risultati della Direzione investigativa antimafia (Dia), si leggeva che «l’Umbria è una di quelle regioni in cui le organizzazioni criminali apprezzano le opportunità offerte da un territorio caratterizzato da una fitta rete di imprese di dimensioni piccole e medie, percepite come l’ennesima possibilità di penetrazione per il riciclaggio e il reinvestimento di capitali». Il quasi usato da Cardella è definitivamente scomparso. E la certezza della penetrazione di capitali provenienti dalle attività illecite della criminalità organizzata nella cosidetta economia legale della regione, oltre a quanto si legge nella relazione, la danno i numeri. Secondo quelli forniti dall’Anbsc (Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata), in Umbria ci sono 118 beni tra terreni, immobili, magazzini e altro, e 5 aziende confiscate. Inoltre, tra il 2016 e il settembre 2019 in questa regione i prefetti hanno emesso 35 interdittive antimafia nei confronti di altrettante attività economiche sospette, una in meno rispetto alla Toscana, che ha un numero di abitanti superiore di quasi quattro volte a quello dell’Umbria. Gli allarmismi sono inutili e pericolosi. Ignorare il fenomeno però non aiuta, se è vero che dal 2011 a oggi, se la situazione è cambiata, è stato sicuramente in peggio.
Nella provincia di Perugia è stata da tempo
rilevata la presenza di soggetti contigui
a diverse ‘ndrine calabresi
Non è solo una questione di riciclaggio. «Nella provincia di Perugia – si legge sempre nella relazione della Dia – è stata da tempo rilevata la presenza di soggetti contigui alle ‘ndrine calabresi Giglio, Farao-Marincola, Maesano-Pangallo-Favasuli e Scumaci». Si tratta di sodalizi criminali con personale che si è stabilito in Umbria e mantiene rapporti con le rispettive case-madri e che punta a «impossessarsi di alcune imprese utilizzandole poi come grimaldello per tentare di accaparrarsi appalti nel settore edile o comunque per conseguire profitti illeciti portandole al fallimento dopo averne distratto il patrimonio». Si tratta di attività emerse macroscopicamente in occasione del sequestro ai Casalesi dei trecento appartamenti, un intero quartiere, a Ponte San Giovanni, nel 2011 e, tre anni dopo, nell’operazione Quarto Passo, che ha portato al sequestro di 30 milioni e al maxi processo in corso che vede alla sbarra 57 imputati per reati che vanno dall’associazione di tipo mafioso all’estorsione, dall’usura, al danneggiamento, alla bancarotta fraudolenta. Eppure quando si parla di sicurezza in questa regione c’è chi invoca le ronde o l’esercito, che visto il male reale che rende l’Umbria insicura, sarebbe come ricamare con un’incudine.
Da quel 2011 che pare lontano anni luce insomma, in cui Cardella si diceva quasi certo del riciclaggio pur non avendone le prove, nell’arco di poco tempo si è passati alla sicurezza del riciclaggio e non solo. Si è cioè sollevato il velo anche su pratiche tipicamente intimidatorie in Umbria, che fanno sospettare che questa regione non sia più solo una meta per attività di ripulitura del denaro guadagnato illecitamente altrove e reinvestito qui in attività legali, ma sia diventata anche un luogo in cui i sodalizi cominciano a stabilirsi e ad operare secondo i metodi dell’intimidazione e dell’assoggettamento tipici delle organizzazioni criminali. In questo senso, aiutano quelli che vengono definiti “reati sintomatici di criminalità organizzata”. In Umbria, nel 2015 si è registrata un’impennata di danneggiamenti e incendi (22), che si è poi stabilizzata negli anni seguenti, e sono anni che vengono denunciate decine di estorsioni (dalle 94 del 2015 alle 73 del primo semestre 2019).
Ci sono due pericoli che la società umbra
non pare pienamente attrezzata a combattere:
il salto di qualità criminale e la penetrazione in politica
Infine, nel dicembre scorso, in occasione dell’operazione contro la cosca Commisso, si è avuto modo di apprezzare come in diverse intercettazioni membri dell’organizzazione criminale, oltre a minacce esplicite nei confronti di imprenditori, abbiano fatto riferimento a due personaggi politici che sarebbero stati da essi favoriti in occasioni delle elezioni amministrative risalenti al 2014. Uno dei due personaggi, come noto, è l’attuale presidente del consiglio comunale di Perugia in quota centrodestra, Nilo Arcudi; un migrante della politica, Arcudi, essendo stato già vicesindaco in quota centrosinistra dal 2009 al 2014, che pur non risultando implicato nelle indagini, è stato invitato dalle opposizioni a fare un passo indietro, vista la carica di garanzia che ricopre. Sulla portata giudiziaria delle frasi intercettate farà luce la magistratura, ovviamente, poiché un’intercettazione non è una verità in sé. Sta di fatto che quelli che arrivano da anni ormai sono campanelli d’allarme che segnalano almeno due pericoli. Il primo: la criminalità organizzata potrebbe stare tentando di mettere radici in Umbria, avvalendosi dei suoi metodi di intimidazione sperimentati in altri territori, mettendo le mani su imprese in difficoltà a causa della crisi e offrendo liquidità proveniente da traffici illeciti per potersene impadronire utilizzandole poi come “grimaldello per entrare nell’economia legale”, secondo quanto riferisce la Dia. Il secondo: le intercettazioni in cui personaggi criminali si fanno vanto di aver fatto eleggere Nilo Arcudi, a prescindere dal coinvolgimento del presidente del consiglio comunale di Perugia, fanno pensare che ci sia comunque in atto la volontà di penetrare anche il livello politico. In entrambi i casi si tratterebbe di salti di qualità che esporrebbero questo territorio a rischi inediti.
A tutto questo si aggiunge una criticità non da poco, che è emersa plasticamente quando l’associazione Libera ha organizzato, poche settimane fa a Perugia, un’assemblea pubblica per accendere i riflettori sulle mafie in Umbria. In quell’occasione è stata rilevata da più di un partecipante la clamorosa diserzione da quella sede del personale politico della destra, della parte politica cioè che governa oggi le principali città dell’Umbria e la stessa regione. Vero. Ma non basta. Perché a quell’assemblea erano del tutto assenti gli ordini professionali (ingegneri, avvocati, notai, geometri, commercialisti), le organizzazioni di categoria (costruttori, imprenditori, commercianti) e di rappresentanza dei lavoratori, se si fa eccezione per il segretario regionale della Cgil Vincenzo Sgalla, che ha anticipato proprio in quella sede la volontà di dare vita a una sorta di stati generali dei corpi intermedi per alzare l’argine contro la criminalità organizzata. Ciò significa che è la società umbra nel complesso a non essere preparata alla penetrazione della criminalità organizzata. E questo deriva proprio dal fatto che la mafia appare un problema lontano, mai sperimentato da vicino. Per questo fermarsi a denunciare le responsabilità di una politica latitante è necessario ma non sufficiente. Perché chi potrebbe star facendo già i conti con la penetrazione strisciante della mafia nell’economia umbra sono proprio le categorie che a quell’assemblea non c’erano. Come non c’era, fatta eccezione per i consiglieri regionali del Pd Tommaso Bori, e del M5S Thomas De Luca, la politica. E questo è un pessimo segnale per l’Umbria. Una regione quanto meno disattenta, dove le maggioranze di destra varano ordini del giorno per sanzionare i mendicanti, per dotare di pistole taser i vigili urbani; dove si organizzano corpi di sentinelle per colpire il piccolo delinquente di strada. E nel frattempo ci si dimentica che la criminalità in grado di mettere in ginocchio una società è altra, più attrezzata e difficile da combattere, su cui è meno facile fare propaganda, e su cui per questo a maggior ragione vanno accesi i riflettori. Subito. Distogliendoli da problemi che magari aiutano a raccattare qualche voto impaurito, ma che, se non falsi, non sono certo quelli che minacciano la natura profonda dell’Umbria.