Scandalizzarsi perché il Comune di Perugia, quello di Terni e moltissimi altri di quelli della regione governati da maggioranze a trazione Lega-FdI non hanno concesso il patrocinio al Pride dell’Umbria è come biasimare il leone che sbrana la gazzella. La natura di quelle maggioranze è intrinsecamente ostile a qualsiasi elemento che screzi l’ordine costituito della cosidetta famiglia tradizionale, esattamente come quella dei proprietari delle piantagioni statunitensi e dei loro rappresentanti politici era contro l’abolizione dello schiavismo.
Prima di qualsiasi conquista di civiltà, resistono anche per decenni elementi di conservazione che col tempo, a guardare indietro, diventano grotteschi, ma che continuano a prodursi per inerzia. È stato così per lo schiavismo; è stato così – e in molte parti del mondo è ancora – per la pena di morte. È oggi così per il riconoscimento dei diritti delle persone di sentirsi come vogliano.
Ciò che porta a provare risentimento è l’idea che le istituzioni oggi rappresentate da quelle maggioranze siano di tutti, cioè anche di chi è per il riconoscimento dei diritti di tutte e tutti a sentirsi e amare come si predilige. Che è un’idea al tempo stesso suggestiva e fuorviante. Suggestiva perché se fosse così significherebbe che quello che molti di noi giudicano un elemento di civiltà, sarebbe condiviso unanimemente. Fuorviante perché quell’idea è intrisa di un ecumenismo che nega la politica.
Le istituzioni saranno pure di tutti, ma risentono degli umori della parte che democraticamente è eletta a rappresentarle. Ad oggi, il giudicare normale che ognuno possa seguire le proprie inclinazioni, cozza ancora contro l’idea di normalità di chi divide il genere umano in recinti. Il risultato è che una maggioranza in cui è schierato il senatore Pillon non può che incarnare e produrre un’idea istituzionale diversa e opposta da quella in cui si riconosce l’altro pezzo di società, quello a favore dei diritti di tutte e tutti. Sarebbe sorprendente il contrario, oggi.
Ci sono semmai un paio di domande da porsi, più impegnative perché coinvolgono un universo che va molto al di là della politica politicante. La società regionale umbra, nel suo complesso, è adeguatamente rappresentata dagli umori anti-Pride espressi da chi è stato eletto a rappresentarne le istituzioni? La maggioranza delle persone, in Umbria, si riconosce nelle posizioni di chi nega il patrocinio a una manifestazione che rivendica il diritto delle persone a seguire le proprie inclinazioni?
Tentare di rispondere a queste domande equivale ad accettare una sfida che va ben al di là del sanzionare le posizioni di esponenti politico-istituzionali che tra decenni saranno considerate reperti archeologici. Perché significa in un caso attrezzarsi a sfidare un’eventuale egemonia conservatrice-reazionaria; nell’altro a fare in modo che quelle che sono maggioranze non rappresentative degli umori sociali non occupino più le istituzioni.