L’accordo Pd-Calenda ha il merito di definire meglio il campo di gioco della prossima tornata elettorale: un accordo che giustifica tutto, dove anche il cavaliere inesistente, sulla base delle previsioni dei sondaggi, può portare a casa un impensabile trenta per cento di candidature nei seggi uninominali. Se i sondaggi valgono cosi tanto per Calenda, e il patto sottoscritto dal Pd sta lì a dimostrarlo, ciò dovrebbe significare che valgono in assoluto, e che sono la base più concreta sulla quale costruire accordi e coalizioni (certamente non programmi). Si dovrebbe presumere che sono anche la base di ragionamento e riferimento di una strategia di alleanze per costruire una coalizione vincente, capace di sconfiggere la destra sovranista e di dubbia fedeltà atlantista ed europeista.
Tutti i sondaggisti però, mettono altresì in evidenza che la vittoria di una coalizione alternativa alla destra è possibile solo se ingloba il Movimento 5 stelle, cui viene assegnata una dote residua minima del 10 per cento; altre composizioni potranno trovare mille giustificazioni ma non vinceranno. Quale oscuro ragionamento fa dunque il Pd? Vuole davvero vincere o si contenta di perdere meglio possibile?
Quello di perdere meglio possibile e di accettare la sconfitta salvaguardando nel miglior modo se stessi è un film che in Umbria abbiamo già visto in occasione delle elezioni regionali del 2019. Uno schema che oggi stiamo rivivendo a livello nazionale. Si lavora sulla sconfitta onorevole, imbarcando tutti tranne quelli che permetterebbero di provare a vincere. Il nodo della questione è garantirsi posti in collegi sicuri, e avere cosi la certezza di essere più presenti possibile nel prossimo Parlamento, e provare a improvvisare una qualche opposizione alla destra dopo avergli spianato la strada verso la vittoria avendo curato nel dettaglio la macchina da guerra che perderà le elezioni.
Il Pd, nelle sue valutazioni basate sui sondaggi, sembra avere deciso di consegnare il paese alle destre conservatrici e post-fasciste, che con i numeri ottenuti grazie alla pessima legge elettorale, che costringe agli apparentamenti prima del voto, potrebbero cambiare la costituzione a colpi di maggioranza. Basterebbe attenzionare bene alcuni punti del loro programma: presidenzialismo, autonomia differenziata, una visione conservatrice dei valori strutturata intorno a Dio, patria e famiglia, liberismo economico, flax tax, condoni, nazionalismo, scarsa attenzione alle questioni ambientali, per capire che non c’è da stare tranquilli.
Molti sono gli appelli per un campo realmente largo e inclusivo, capace di scongiurare la vittoria di queste destre e con essa un attacco alle libertà, ai diritti sociali e civili e ai principi di uguaglianza e solidarietà. La strana vicenda italiana e la sua evoluzione più recente hanno fatto sì che dallo scenario politico venisse meno la sinistra, la rappresentanza popolare e lavoratrice, e con essa il futuro dei giovani e la tutela dell’ambiente e delle diversità. La partita politica si è ridotta tutta nel campo liberista e all’interno del modello di sviluppo economico, consumistico, tecnologico e finanziarizzato; una partita che contrappone la old economy alla new economy, che ci condanna a un mondo dove non ci sarebbero alternative e dove non ci sarebbero più né le classi né il conflitto. Si tratta di un gioco anomalo, monco di una parte, tra due squadre, la destra e il centro, dove non esiste più la sinistra. Ciò segna la grande anomalia italiana, la negazione della possibilità di coltivare speranza e pensare che un’alternativa ci deve essere e che andrebbe costruita, la conferma che la lotta di classe esiste e, come disse Warren Buffett, l’hanno vinta i ricchi.
La politica che dà cosi importanza ai sondaggi, e che ha deciso di consegnare il paese alla destra costruendo scientemente una coalizione che preferisce perdere in pochi piuttosto che vincere in tanti, sembra sottovalutare anche l’aspetto dell’astensionismo. Si tratta di un’area che i sondaggisti stimano intorno al 40 per cento, di cui una fetta maggioritaria è composta probabilmente da un popolo giovane e di sinistra, deluso dalle proprie classi dirigenti e dalle politiche economico-sociali degli ultimi anni. Ciò viene in qualche modo certificato dalla tendenza di chi si reca al voto: i ceti meno abbienti e più poveri si recano al voto solo per il 28 per cento degli aventi diritto, mentre i ceti medi per il 62 per cento, e quelli alti (della Ztl) per il 78 per cento (dati Tecné). Questo 40 per cento che si sottrae al voto e che è sempre oggetto di interesse e di preoccupazione nelle dichiarazioni dei capi partito, sembrerebbe essere oggi, alla luce degli ultimi eventi, un’opportunità di partenza per provare a costruire quel soggetto nuovo di sinistra, mancante nello scenario politico e utile a riconsiderare politiche e indirizzi nazionali in un’ottica più attenta al lavoro, al sociale, alla redistribuzione delle risorse. Una parte di quell’area del non voto sarebbe insieme alla base di consenso del M5S (ormai depurati dei poltronari e di una politica estremista e improvvisata, terrapiattista e no vax) potenzialmente attratta da un progetto concreto a base ecologico-sociale. Ciò che non si riesce a comprendere è perché la sinistra italiana, quella oltre il Pd non colga questa opportunità. È comprensibile la posizione di Articolo Uno, che tenterà in ogni modo di rientrare nel Pd e di legittimare la vocazione prevalente a essere forza di governo, mentre è meno comprensibile la posizione di Sinistra italiana e dei Verdi, che troppo affrettatamente si sono impegnati per il campo largo, rifiutandosi di vedere altre opportunità. Tutte le cosiddette forze di sinistra (Si, Verdi, Prc, Pci, Potere al popolo etc) oggi avrebbero l’opportunità di realizzare quel partito, area, rete, movimento tanto invocato nel passato.
Lo scenario che si è aperto offre la possibilità di costruire il terzo polo, che poi sarebbe una nuova sinistra, magari composta da giovani generazioni che partendo dalla transizione ecologica presa sul serio possano rimettere in discussione lo stantio scenario politico nazionale, fatto di vecchi ed opportunisti, incapaci di qualsiasi transizione. Il Pd ha creato le condizioni, la sinistra le sappia cogliere ed esca dalla subalternità dall’elemosina di un collegio sicuro, di qualche nomina o poltrona da amministratore.
Gli accordi recenti e lo sviluppo delle alleanze nella costrizione della legge elettorale con i suoi artifizi, stanno offrendo insomma la possibilità per ricomporre il quadro politico nazionale completato di tutte le offerte: destra, centro, sinistra; si tratta paradossalmente di una possibilità di un recupero dell’offerta democratica da tempo mancante. Tutto ciò chiama in causa la sinistra, sia politica che civica e la credibilità di queste rappresentanze. L’occasione c’è, sapranno i politici di sinistra coglierla e provare a realizzare ciò che vanno promettendo, o tutto sarà vanificato dal “voto e dall’alleanza inutile perché perdente” per qualche certezza personale o per mancanza di coraggio?
È inutile esultare per Mélenchon in Francia, per Podemos in Spagna, per Syiriza in Grecia e persino per Gabriel Boric in Cile, se poi in Italia non si sanno o non si vogliono cogliere le opportunità nemmeno quando vengono servite su un piatto d’argento. Questa vicenda, a seconda di come si svilupperà, determinerà futuro e credibilità della residua sinistra italiana e la reale possibilità di pensare altrimenti. Tutte le posizioni sono legittime, ma la residua e resistente base militante e il popolo dell’astensione stavolta osservano, e dopo il patto Pd-Calenda stanno già mandando chiari segnali d’insofferenza ai propri leader.
Una strana ed inaspettata congiuntura ha creato condizioni impensabili per ricomporre un’area e una rappresentanza politica a sinistra del Pd, il problema è se ci sarà qualcuno che la saprà cogliere, si tratta di coerenza e coraggio. Certo è che il peso su chi oggi deve fare queste scelte è grande e avrà ripercussioni sul futuro. L’evento e la sua gestione, non passeranno invano; determineranno comunque il futuro della politica nostrana, nel bene o nel male.
Ottima analisi, concordo in pieno e spero che quel che rimane della grande sinistra italiana, torni a compattarsi contro questa destra becera e fascista.
Condivido l’analisi e credo anch’io che il PD si contenti di “perdere meglio possibile”. Tuttavia aggiungo sul fronte dell’ambientalismo italiano che Sinistra Italiana e Europa Verde preferiscono il campo largo perché ora il primo obiettivo è solo eleggere Bonelli e Fratoianni e non quello di aprirsi nel progetto verde per ricondurre a unità il mondo ambientalista italiano ancora oggi variegato e troppo frammentato a discapito di una soggettività/progettualità politica riconoscibile tra gli elettori come sollecita da tempo il partito dei verdi europei…abbiamo chiesto più volte a Bonelli di lavorare su questo progetto ma abbiamo trovato un muro. Per questo stiamo lavorando a livello nazionale come Alleanza Verde e Civica e anche come Movimento delle idee e del fare, per un campo ambientalista, riformista, progressista trasversale a tutte le politiche di settore e dare un senso di visione e di vero radicamento sui territori delle cultura politica ecologista che sta alla base della transizione ecologica …
Al paese e alla politica serve una sinistra riformista e non una sinistra rivoluzionaria e che si rifà ad una ideologia, quella marxista, sconfitte storicamente e chr è quasi assente o minoritaria in tutti i paesi del mondo occidentale. Oggi il ceto sociale dei poveri non lo si aiuta con politiche sociali assistenzialiste ma creando lavoro e il lavoro si crea facendo crescere l’economia e l’economia cresce non attraverso lo scontro sociale tra ricchi e poveri ma attraverso un patto sociale equo tra l’impresa e i laboratori. Mi sembra che questa sia la strada giusta da perseguire perché una sinistra rivoluzionaria costruita sul conflitto sociale, si diceva una volta togliere ai ricchi per dare ai poveri, non è quello che serve in un mondo dove le classi sociali si sono ampiamente rimescolate