Quando lo scorso 6 ottobre hanno presentato l’iniziativa, la presidente della Regione Donatella Tesei e l’assessore ai Trasporti Enrico Melasecche hanno fatto risuonare nel salone d’onore di Palazzo Donini parole impegnative. Il progetto è stato definito «innovativo» e «coraggioso», l’operazione «storica» e «originale». Pur comprendendo le scivolate propagandistiche del linguaggio politico, l’attivazione della tariffa agevolata a 60 euro per gli abbonamenti annuali al trasporto pubblico regionale rivolta alla popolazione universitaria che presidente e assessore stavano presentando, non ha nessuna di quelle caratteristiche. Per capirlo non occorre neanche andare troppo lontano: dallo scorso anno in Emilia Romagna, con l’operazione “Salta su!”, studenti e studentesse under 19 viaggiano gratis (gratis) su tutti i bus e i treni circolanti in regione.
Smontare i toni trionfalistici di presidente e assessore regionale non è un’operazione da guastafeste, poiché definire in maniera così altisonante una misura equivale a descriverla come una impresa straordinaria; e per definizione le cose straordinarie sono rare. L’incentivazione all’uso del mezzo pubblico dovrebbe invece rappresentare l’ordinaria politica di un ente che avesse assimilato la lezione della sostenibilità ambientale e avesse a cuore la qualità dei servizi pubblici. Il fatto che nel comunicato diramato dalla Giunta non si faccia alcun riferimento a nessuna delle due questioni, ma si sia preferito sottolineare in maniera unidimensionale il potenziale «attrattivo» della misura è indicativo delle priorità e della postura ideologica che muovono l’operato dell’esecutivo regionale.
Peraltro, l’agevolazione per l’uso dei mezzi pubblici rivolta alla popolazione universitaria va certamente nella direzione giusta, ma sarebbe solo una delle leve, e neanche la più rilevante, se si volesse ragionare in termini di potenziamento del servizio di trasporto pubblico locale in Umbria. Ciò che la rende straordinaria è semmai il deserto di politiche per la mobilità sostenibile in questa regione. Dal 2004 al 2019 l’offerta di posti sui mezzi del trasporto pubblico è rimasta stabile in Italia mentre nei due comuni capoluogo della regione è drasticamente diminuita: -17 per cento a Perugia e -37 per cento a Terni. Dal 2015 al 2019 il numero di passeggeri all’anno sui mezzi di trasporto pubblico in Italia è aumentato; a Perugia è invece crollato di un terzo e a Terni del 7 per cento. Ancora: i parcheggi di scambio auto-mezzo pubblico a disposizione dei perugini sono 2.800, quelli per i ternani 4.500; e ciò a fronte delle centinaia di migliaia di persone che, come vedremo, in Umbria si spostano quotidianamente per lavoro o per studio.
Le criticità hanno dunque delle radici profonde che hanno innescato un circolo vizioso: meno mezzi, meno passeggeri, meno ricavi, ulteriori tagli, anche da parte della Giunta in carica. Uno dei modi per disinnescare il deperimento di un servizio che è invece cruciale sarebbe quello di sperimentare misure davvero innovative. È per questo che la straordinarietà con cui è stata presentata la misura per gli universitari risulta sospetta, poiché fa intendere che dalle parti della Giunta si ritenga quello un punto d’arrivo, nonché votato alla «attrattività», non un punto di partenza per rendere il trasporto pubblico all’altezza di una regione che voglia innalzare qualità della vita e dell’ambiente. Se si vuole rendere il trasporto pubblico appetibile occorre lavorare sulle tariffe più in generale con misure davvero coraggiose, e sulla qualità del servizio.
A Milano e a Firenze la popolazione under 27 viaggia con abbonamenti da 200 euro l’anno. A Terni e Perugia, città di dimensioni assai più ridotte, l’abbonamento scolastico arriva a costare un terzo in più. Ridurre drasticamente i costi di abbonamento per tutti, ecco una misura che meriterebbe gli aggettivi altisonanti spesi lo scorso 6 ottobre. Già, ma come?
Nella relazione finanziaria di Busitalia relativa al 2019, l’ultimo anno pre covid, si legge che l’azienda che gestisce il servizio di trasporto pubblico locale in Umbria ha incassato 30,5 milioni dalla vendita di biglietti e abbonamenti. Se si istituisse un abbonamento universale annuale a 100 euro, per tutti, per remunerare Busitalia occorrerebbero quindi 300 mila abbonamenti; se il costo dell’abbonamento salisse a 150 euro-meno della metà del costo attuale – sarebbero sufficienti 200 mila abbonamenti. Sono tanti? Sono pochi? Vediamo alcuni dati. Il numero di passeggeri trasportati su gomma – che rappresenta oltre il 70 per cento del giro d’affari di Busitalia in Umbria – nel 2019 è stato di 31,5 milioni, l’80 per cento dei quali provvisto di abbonamento. Nel 17esimo Rapporto sulla mobilità dell’Isfort (Istituto superiore di formazione e ricerca per i trasporti) si rileva che il numero medio di spostamenti quotidiani nel giorno feriale è di 2,5 a passeggero. Questo significa che la rete del trasporto pubblico locale su gomma in Umbria ha servito mediamente 42 mila persone al giorno nel 2019, l’80 per cento delle quali, come abbiamo visto, erano provviste di abbonamento. Ciò significa che attualmente ci aggiriamo intorno alle 34 mila persone abbonate ai mezzi pubblici in Umbria. Bisognerebbe salire di almeno 160 mila abbonamenti. Come?
Il fatto è che la rete di trasporto pubblico in Umbria accoglie solo una minima parte delle persone che si spostano per motivi di lavoro o di studio, che sono state 441 mila al giorno nel 2019, secondo l’Istat. Si tratta di un bacino potenziale tutto da esplorare, considerando che in quel totale, ci sono 150 mila persone che devono raggiungere un comune diverso da quello di residenza, e che di queste, almeno 32 mila sono studenti e studentesse che si presume frequentino già le superiori. Ancora: se si sommano la popolazione universitaria e quella che frequenta le scuole superiori c’è un bacino di 67 mila persone in Umbria. L’Istat rileva che solo il 30 per cento degli over 15 che si spostano per andare a scuola o all’Università da un comune all’altro lo fanno su mezzo pubblico; e solo il 18 per cento di quelli che raggiungono una scuola che è all’interno del proprio comune viaggiano in bus. Significa che su una popolazione di 67 mila persone, la stima che possiamo formulare per l’Umbria di persone abbonate è molto al di sotto delle 20 mila.
Insomma, ci sono oltre 300 mila persone che si spostano quotidianamente in Umbria non attratte da un mezzo pubblico costoso e assai poco competitivo rispetto a quello privato. All’interno di quel numero ci sono decine di migliaia di persone che potenzialmente potrebbero invece essere molto attratte da mezzi pubblici più economici, con frequenze congrue alle loro esigenze e con servizi innovativi (più capillari, a chiamata, a prenotazione e altro). Tenuto conto che per attivare abbonamenti a prezzi incentivanti occorrerebbero 200 mila persone allo scopo di assicurare al gestore i ricavi del 2019, la sfida si potrebbe tentare.
Con tre postille: 1) Busitalia incassa 80 milioni dalla Regione, e il trasporto pubblico è un servizio. Pubblico, esattamente come Busitalia, che è una società di proprietà statale con la quale si potrebbe interloquire in maniera costruttiva; 2) l’Emilia Romagna, per rendere gratuiti gli abbonamenti per gli under 19, ha messo in campo 22 milioni. Così, per mettere a fuoco un po’ meglio cosa è straordinario e cosa no; 3) oggi on line si può prenotare un viaggio aereo in Australia, la pizza per la cena e pure il biglietto per lo stadio; per sottoscrivere un abbonamento al trasporto pubblico locale dell’Umbria invece, occorre presentarsi fisicamente e affrontare decine di minuti di fila. A proposito di innovazione.