Un incantatore di serpenti
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Va tutto bene, ma qualcosa non torna

 

Questo articolo è stato pubblicato nell’ultimo numero del mensile L’altrapagina

Sono state impressionanti le valutazioni di fine anno in Umbria, dove secondo la maggioranza dei mezzi di informazione il governo della regione è stato tra i più efficienti e virtuosi d’Italia. La tesi propagandata sembra sostenere che il periodo della pandemia sia stato gestito con competenza e lungimiranza e che l’Umbria abbia ottenuto risultati incoraggianti. Le vertenze che non trovano soluzione, il disagio di giovani e studenti la povertà crescente delle famiglie, il lavoro precario, l’alloggio, l’invecchiamento della popolazione etc. sono questioni derubricate a eventi marginali, rappresentati come fatti casuali rispetto alle meraviglie e ai risultati centrati.

Una lettura dei fatti cosi convintamente di parte, e l’appoggio straordinario di cui godono le amministrazioni regionale e dei due capoluoghi di provincia, non si erano mai visti prima. È una rappresentazione che arriva a dipingere Perugia come una sorta di Romizishare, un territorio idilliaco, dove il sindaco è amatissimo, i problemi sono ridotti al minimo e ci sono persino i soldi per le buche sulle strade, che ci si guarda bene di dire che per la prima volta sono diventate il problema principale della città capoluogo. La stessa attenzione è riservata alla giunta regionale, che secondo questa narrazione inanellerebbe un risultato dietro l’altro: dalla gestione della sanità in emergenza covid, che sarebbe stata tra le più efficienti d’Italia, alla crescita economica, del turismo e dei consumi, fino alla crescita del benessere generale.

Gestioni virtuose da riconfermare (è sottinteso) alle prossime elezioni di Terni e Perugia e a seguire della Regione. Dai media arriva un messaggio chiaro dal valore elettorale che suona più o meno così: finalmente abbiamo amministrazioni capaci ed efficienti, teniamocele strette e riconfermiamole. Tutto il lavoro del mainstream locale al servizio della conservazione e del liberismo economico, cui fanno eccezione poche e deboli voci indipendenti, evidenzia la sproporzione in campo che porta a una musica di fondo a vantaggio dei governi locali di destra-centro che oggi amministrano in regione. Assistiamo a un lavoro teso a costruire un’immagine vincente e positiva, che elimina o riduce alla marginalità le criticità, un lavoro sistemico alla ricerca del consenso in previsione delle prossime sfide elettorali.

Premesso che gli umbri hanno scelto di liberarsi di una sinistra ormai irriconoscibile, arrogante e lontana dai problemi delle persone, la destra non era proprio la scelta migliore, era semplicemente quella possibile, non avendo i 5 stelle mai veramente attecchito a livello regionale. Senza rivangare gli errori della sinistra e di un Pd che ha deciso di regalare la regione alla destra, e considerando i prossimi appuntamenti elettorali, forse è il caso di soffermarci alla verifica di quanto è narrato e magari porci qualche domanda.

Se il 2021 post pandemico è da considerare l’anno della ripresa nel quale si invertono i dati negativi del 2020 con il recupero di tutti i settori economici e commerciali (esclusa l’agricoltura), sarebbe doveroso domandarsi se ciò sia sufficiente a legittimare il racconto che i media fanno dell’Umbria, che a ben guardare sembra stridere con alcuni dati statistici e soprattutto con gli andamenti macroeconomici dell’economia reale. Se tutto va bene e gli amministratori sono cosi bravi, come mai la popolazione diminuisce e i giovani vanno a cercare lavoro fuori regione e all’estero? E soprattutto, com’è possibile che nell’Umbria felix aumenti sia la povertà assoluta che quella relativa, e che i salari e le pensioni rimangano tra i più bassi a livello nazionale, contribuendo ad aumentare la povertà da reddito? È sufficiente fermarsi a queste poche e semplici considerazioni per capire che qualcosa nella narrazione non funziona. Le persone lo intuiscono dallo stato delle strade, dal calvario dei percorsi sanitari sempre più tortuosi, costosi, e inefficienti, dai prezzi dei beni di prima necessità, dalle vertenze storiche che continuano a non trovare risposte, dal lavoro che manca e si precarizza, dai servizi che si riducono e si fanno più costosi.

Per di più, quanto si sta tentando di realizzare con i fondi del Pnrr a quelli strutturali dell’Ue non agisce a livello sistemico, e se non si aggiusterà il tiro alla fine risulterà poco utile, dispersivo e forse persino dannoso. La narrazione dell’Umbria felix è possibile solo grazie al conformismo esasperato che caratterizza la regione e rende impalpabili le opposizioni e silenti gli intellettuali, eliminando di fatto l’analisi e la critica dallo scenario politico locale, e lasciando ai media mainstream il più ampio spazio per quella che di fatto diventa propaganda. Tutto ciò è favorito da un meccanismo collaudato, che consiste di parlare di eventi singoli, di azioni minime, di microeconomia, di fatti circoscritti. Il “segreto” è dare risalto all’evento, caricarlo di pathos, renderlo notizia. Discussioni, presentazioni, dibattiti, vengono trasformati dai media in un insieme positivo dal valore politico, dando a vedere che tutto quest’attivismo sia frutto di una strategia e ispirato a una visione complessiva e al raggiungimento di risultati congrui.

Se al contrario si guardassero le questioni in chiave macroeconomica, vedremmo tutta quest’attività per quella che realmente è: dispersiva e marginale, che può portare qualcosa a qualche territorio e a qualche beneficiato, ma non affronta i problemi strutturali dell’Umbria. Un approccio macro economico evidenzierebbe tre questioni niente affatto marginali: 1) la popolazione invecchia (in Umbria si pagano più pensioni che stipendi); 2) i nati sono la metà dei morti; 3) i giovani se ne vanno e non sono sostituiti, con una perdita di popolazione di 5.441 residenti nell’ultimo anno (su un totale di 859.578). Se consideriamo questi dati non siamo lontani da indicatori che dovrebbero far parlare di sottosviluppo.

L’Umbria avrebbe bisogno di verità e di concretezza per affrontare i problemi profondi che la rendono debole, vecchia, piccola e isolata. Sarebbe necessario eliminare la propaganda dal dibattito e ragionare di recessione, andare oltre i rimbalzi del gatto morto per concentrarsi sul Pil a -26 per cento, tema che si riproporrà aggravato dalla recessione e dall’inflazione crescente. La questione insomma rimane quella di un nuovo modello economico, da perseguire, con coraggio, lungimiranza e generosità. AAA cercasi progetto politico riformatore e soggetto attuatore.

Foto da hippopx.com

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