Da anni mi pago le bollette e il mutuo scrivendo, anche con qualche gratificazione, eppure ho sempre trovato difficile ai limiti dell’impossibile scrivere di un personaggio pubblico dopo la sua morte.
Non parlo qui della scrittura di un cosiddetto “coccodrillo”, cioè uno di quegli articoli con le principali informazioni biografiche sulla persona morta che spesso vengono scritti quando la suddetta persona morta è ancora viva, per quanto anche quella sia un’arte sottovalutata. Parlo di quegli articoli che ambiscono a individuare e raccontare il significato di ciò che la persona morta era stata e aveva fatto, scritto, detto, ottenuto e rappresentato mentre era in vita: del senso collettivo e generale che ha avuto il suo passaggio sul mondo. Di «cosa ci ha lasciato», come si dice in questi casi, di cosa rimarrà, di quanto ci abbia cambiati. Chi può sentirsi all’altezza di un compito del genere? Di sintetizzare il senso di una vita? Chiunque abbia un briciolo di consapevolezza di sé dovrebbe rinunciare a un esercizio così impudente e presuntuoso prima ancora di cominciare: come ci permettiamo?
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